Qualcuno potrebbe dire che ormai è diventata una moda. Prendiamo gli esempi più recenti: prima Alfonso Cuaron l’ha usato per Gravity. Poi è arrivato quello di Cary Fukunaga nella stagione d’esordio di True Detective e infine, ecco Birdman, che è valso l’Oscar a Iñarritu. Ma c’è una grande verità: il piano sequenza, se fatto bene, è sempre uno spettacolo per gli occhi.
Anche Daredevil si aggiunge ai titoli sopra citati con la scena conclusiva della seconda puntata della serie Marvel/Netflix: in palio c’è la salvezza di un bambino rapito dai russi, destinato alla vendita. Matt Murdock arriva nel luogo in cui il piccolo è nascosto, tra l’altro in condizioni fisiche instabili (nello show ne prende più di quante ne dia, dettaglio che lo rende più umano che super). La macchina da presa ruota, ma rimane fissa su di lui, che si lancia nelle due stanze che ospitano i cattivi. È come se vedessimo tutto accadere di fronte ai nostri occhi: la scena, lunga sei minuti e ben coreografata, si svolge in uno spazio ristretto, e quest’uno contro tutti riporta subito alla mente quello tra il protagonista di Oldboy (l’originale di Park Chan-wook) e l’esercito di cattivi che gli si scaglia addosso. Il risultato è lo stesso: vince l’uno.
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