«If our love song
could fly over mountains
could sail over heartaches
just like the films»
C’era un Uomo che cadde sulla Terra. Forse un alieno, magari un vampiro. Di certo, un po’ freak e già proiettato oltre, come se avesse già visto il futuro, la siderale eternità di un’odissea nello spazio. Il suo nome era David Bowie. Il tempo passato è purtroppo d’obbligo dopo la tragica notizia della scomparsa dell’amato messia del rock appresa questa mattina. Bowie era ormai malato da tempo, ma durante questo ultimo (anche se lungo) periodo di degenza, il musicista non è stato con le mani in mano, lavorando a più progetti contemporaneamente: il suo ultimo album, Blackstar, o la sigla d’apertura della serie tv The Last Panthers.
Bowie nella sua lunga, prolifica e invidiabile carriera è riuscito a spaziare tra più “mondi”, dal rock alla tv fino al cinema, quest’ultimo sua vera e propria seconda casa. Perché quello che fu evidente, sin dalla sua prima apparizione, era l’amore di Bowie per lo spettacolo, per l’intrattenimento, la ricerca artistica, corredato dai mille volti della rockstar.
Era stato l’incontro con l’artista Lindsay Kemp nel 1967 a forgiare l’icona Bowie. Da lui aveva appreso la mimica, l’uso del corpo, la teatralità, elementi fondanti della sua personalità, che si svilupperà attraverso i suoi quasi indistinguibili alter ego, da Ziggy Stardust al Duca Bianco, la figura che schiuderà le porte della new wave. Nei panni di questi due personaggi incide album leggendari come Space Oddity, The Man who sold the world, The Rise And Fall Of Ziggy Stardust And The Spiders From Mars.
All’inizio degli anni ’70, dopo le sue prime apparizioni televisive con chitarra e altissime zeppe ai piedi, tutte le ragazze (e, soprattutto: ragazzi!) di Londra avevano del glitter sotto gli occhi. La discesa in Terra di Bowie/Ziggy passava fra scintillanti coriandoli e una pioggia di piume a rallentatore, il glam rock aveva spazzato via i figli dei fiori: la rivoluzione in atto non era solo musicale, ma anche sessuale.
Successivamente, il nostro abbandona le chitarre più distorte verso sonorità che avrebbero forgiato gli interi anni ’80 e oltre: assieme a Brian Eno, unisce la new wave all’elettronica, il rythm ‘n’ blues al funk. Nasce la trilogia berlinese, e ancora una volta il Duca si dimostra un pioniere avanti sul resto del mondo.
A noi, ragazzi soli avvolti dalla malinconia più sognante, ha insegnato a ballare ipnotizzati in dormiveglia, a inseguire l’amore moderno fra corse sfrenate in cerca di una sovrimpressione esistenziale (l’amour fou, in tutta la sua catartica esplosione), a ribellarci al sistema non tramite la violenza, bensì la bellezza. Ma, soprattutto, ci ha insegnato che riuscire ad essere noi stessi è la cosa più eroica dell’universo, dovesse essere anche solo per un giorno.
E poi, il cinema. La sua grande presenza scenica lo portò nel 1976 alla sua prima e importante esperienza sul grande schermo con L’Uomo che cadde sulla Terra di Nicolas Roeg, per il quale compose anche diversi brani. Da lì, poi, Bowie cominciò la sua seconda e parallela carriera “nelle sale”, con importanti collaborazioni con alcuni dei più apprezzati registi di sempre e in film ormai cult. Tra i tanti, ricordiamo Tutto in una notte di John Landis (1985), Absolute Beginners di Julien Temple (1986), Labyrinth di Jim Henson (1986), L’Ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese (1988), Fuoco cammina con me di David Lynch (1992), Zoolander di Ben Stiller (2001) e The Prestige di Christopher Nolan (2006). E se in Furyo di Nagisa Oshima (1983) avrebbe meritato tutti gli Oscar della galassia, a rimanerci particolarmente impressi è anche il suo John Blaylock di Miriam si sveglia a mezzanotte (Tony Scott, 1983), vampiro romantico che ci ha lasciato nel cuore una cicatrice che sa di dolore e dolce spasmo.
Una vita piena, quella del Duca, scandita da musica e cinema, sui quali Bowie ha lasciato la sua impronta indelebile. A dare il triste annuncio della scomparsa è stato il figlio Duncan Jones – conosciuto anche come Zowie Bowie – uno tra i più giovani e talentuosi registi contemporanei, già dietro a ottimi film di fantascienza (poteva essere altrimenti?) come Moon, Source Code e l’ultimo e atteso Warcraft. Anche lui esempio dell’immensa eredità artistica che il nostro ha consegnato al mondo.
Ma in fondo, i suoi fan lo sanno: Bowie non è morto, non potrebbe mai. In verità, è solo tornato sulla sua astronavicella per partire verso nuove odissee, magari assieme ai soliti Spiders from Mars. Da qualche parte lassù, fra le stelle cosmiche più brillanti e irraggiungibili, Ziggy Stardust continua a osservarci col suo inconfondibile ghigno. Normale, allora, che l’ultimo singolo del Duca s’intitoli proprio Lazarus, emblema biblico della resurrezione perpetua.
Ecco i cinque video con le più memorabili interpretazioni cinematografiche di David Bowie:
Labyrinth di Jim Henson
L’Ultima tentazione di Cristo di Martin Scorsese
Fuoco cammina con me di David Lynch
Zoolander di Ben Stiller
The Prestige di Chrstopher Nolan
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