Il colore, in Fuochi di Lorenzo Mattotti, è tutto.
È l’inizio, la fine, l’ossatura e il centro stesso del racconto. È ovunque e riempie ogni angolo, ogni vignetta e ogni passaggio. In alcuni momenti è freddissimo, tra l’azzurro del mare e il bianco del ghiaccio, e in altri è addirittura accogliente, come il verde della boscaglia o il giallo dei fiori. Ma sa essere anche minaccioso e fiero, di un rosso spiritato e travolgente.
Fuochi usciva per la prima volta quarant’anni fa, nel 1984; veniva pubblicato a puntate sulla rivista alter alter. Poi è stato raccolto in un unico volume nel ’91 dai tipi di Granata Press e da pochi giorni è disponibile in una nuova edizione, con nuove aggiunte e inediti, curata da Logos. Il protagonista, Assenzio, è un tenente della marina che viene mandato in avanscoperta su un’isola apparentemente deserta di cui nessuno sembra sapere niente: è un mondo a tratti paradisiaco e a tratti inospitale, pieno di alberi, di sentieri segreti, di prati e di foreste nere. All’improvviso, come in un sogno estivo, la vita di Assenzio viene sconvolta, perché non riesce più a pensare ad altro: vuole stare sull’isola e sente, in qualche modo, di appartenerle. Mattotti non è mai didascalico o ripetitivo. Lascia che siano i sensi del lettore, accompagnati dai disegni e dai colori, a prendere il controllo. Alterna figure definite e chiaramente umane a figure quasi stilizzate, con braccia e gambe lunghissime oppure con busti compatti e tozzi. Gioca con l’immaginazione, Mattotti. La sua è un’opera in divenire, dove fumetto e pittura si incontrano e si condizionano a vicenda e dove i segni, più che le parole, hanno un ruolo preciso. Fondamentalmente, Fuochi è un diario e viene raccontato in prima persona dal protagonista. Solo verso la fine il punto di vista si sposta e diventa laterale, rivelandoci in che tempo e luogo ci troviamo.
Mattotti non sembra avere alcuna fretta. Ha il totale controllo del mezzo e del linguaggio, e come in un libro di Dino Buzzati riesce a tenere insieme la fuggevolezza onirica di un mondo estraneo e la consistenza concreta di temi che, ancora oggi, sono di estrema attualità: l’appartenenza al gruppo; la disciplina, la libertà, la distanza tra natura e progresso; la promessa mai mantenuta di civiltà e convivenza; l’anima bestiale che vive in ognuno di noi e che occasionalmente viene fuori, rigettata dalla paura o dalla rabbia. La divisione di Fuochi in capitoli non rappresenta un problema. Anzi, se è possibile, permette di scandire con maggiore forza determinati passaggi e alcune delle cose che il protagonista pensa e dice. Non è La linea d’ombra di Joseph Conrad, eppure si avvertono la stessa doppiezza e lo stesso senso di distaccamento rispetto a un’idea condivisa e condivisibile di modernità. Il protagonista ritrova una parte di sé quando sente il richiamo dell’isola e dei suoi abitanti. Ne diventa un’estensione. E la vita di prima, con la nave, il comandante e i suoi sottoposti, la routine e la catena del comando, appare distante e aliena.
Nonostante siano passati quarant’anni dalla sua prima pubblicazione, Fuochi continua a conservare la stessa potenza e la stessa ricchezza narrativa. È un esperimento e un’affermazione precisa. E con il proseguire del racconto, il talento del Mattotti disegnatore si allarga e si inspessisce, prendendo più consapevolezza della propria abilità.
Un’isola, qui, non è solo un’isola. Così come una nave non è solo una nave, e un uomo che si ritrova risucchiato nel vortice verdeggiante della natura non è solo un uomo. Quella che va in scena è una battaglia secolare, tra ragione e istinto, tra limite ed eccesso. I fuochi che vediamo, questi lampi abbaglianti di rosso e giallo che avvolgono la sagoma dell’isola, funzionano come un richiamo.
Per i personaggi che finiscono per esserne ammaliati e per noi lettori, che da quest’altra parte della pagina abbiamo la stessa possibilità di perderci.
© Logos, Lorenzo Mattotti (4)
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