Uno dei fumetti più attesi dell’anno è sicuramente Transformers di Daniel Warren Johnson.
In America sta andando benissimo: ha venduto, stravenduto e raggiunto innumerevoli ristampe. È una rilettura della storia dei Transformers: ne conserva alcuni elementi e ne riscrive altri.
In Italia è pubblicato da Saldapress (il primo numero uscirà a giorni) con la traduzione di Chiara Balestri. Warren Johnson, che si è occupato sia della sceneggiatura che dei disegni, ha trovato un suo stile e una sua dimensione (cosa che ha sempre avuto, attenzione, ma che qui è ancora più evidente).
Questa non è la storia di un gruppo di eroi che, per puro caso, arriva su un altro pianeta e comincia a raddrizzare torti e ingiustizie, che si fa immediatamente carico delle responsabilità e dei doveri altrui. Questa è la storia di un gruppo di superstiti, che si risveglia dopo chissà quanti anni sulla Terra e che deve imparare a fare i conti con un mondo che non assomiglia per niente a quello da cui proviene: questo è più fragile, delicato, bello; pieno di verde, di forme di vita, di cose – per loro che sono fatti interamente di metallo – minuscole. Ed è questa riscoperta continua, questa meraviglia che si mischia alla curiosità e all’incertezza, uno degli aspetti più affascinanti del fumetto. Warren Johnson approfitta del genere e della possibilità di poter utilizzare personaggi simili, così iconici e famosi, per parlare di temi decisamente più seri e attuali, come la guerra, i veterani, il nostro rapporto con il dolore e la perdita, la gentilezza e la nostra idea di appartenenza.
Uno dei primissimi scambi si concentra su quello che è il significato di famiglia (o almeno, su quello che crediamo sia). I protagonisti sono Optimus Prime e un ragazzo, Spikey. Se per Optimus, che è un essere antico e apparentemente invincibile, parole come “mamma” e “papà” non hanno alcun valore, per Spikey tutto sembra trovare velocemente un senso ed è lui, tra i due, quello più saggio e consapevole. Perché la vita non l’ha solo attraversata, ma anche subita. E perché per lui il tempo ha un altro peso: non è un elemento con cui fare i conti e basta; è definito e finito e minaccia di schiacciarlo costantemente. I disegni di Warren Johnson raggiungono un equilibrio incredibile tra il dinamismo dei movimenti – i Transformers sono velocissimi, tra trasformazioni e corse frenetiche – e la cura dei dettagli. Il modo in cui le figure riempiono le vignette, stanno le une accanto alle altre e sostengono – talvolta in modo letterale – il racconto, è evidente in ogni pagina: non ce n’è una fuori posto, eccessiva o decontestualizzata. In questo fumetto, l’azione non è fine a sé stessa: ha un ruolo preciso e s’inserisce perfettamente nell’immobilismo – nell’apparente immobilismo, anzi – che sembra contraddistinguere i dialoghi e le interazioni tra esseri umani. Si respira continuamente un’aria intrisa di violenza. Proprio come succede nella vita quotidiana e – la citavamo prima – nella guerra.
Se i Decepticon, la fazione estremista che cerca di distruggere i suoi avversari, uccidono con gusto, quasi ridendo della debolezza dei corpi degli esseri umani, Optimus Prime è sconvolto dalla possibilità di poter spezzare così facilmente una vita. E Warren Johnson, questa cosa, non la usa per essere morboso o insistente, per ribadire una qualche visione moraleggiante o eticamente ipocrita; la usa proprio per mettere a nudo lo sforzo immane che facciamo come esseri umani per riconoscere non solo la portata delle nostre azioni ma pure quelle che sono le loro conseguenze. Questo Transformers, ricco com’è di bei disegni e di colori (supervisionati da Mike Spicer), con una storia che non si fa mai asfissiante o ripetitiva, rappresenta in pieno il potenziale del linguaggio del fumetto. Skybound, l’etichetta originale, si riconferma ancora una volta capace di tenere insieme sia le aspirazioni artistiche più ricercate sia l’essenzialità estrema dei segni.
© Saldapress (1) Skybound (4)
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