Qualcosa nel fumetto italiano è cambiato. Probabilmente con questo articolo saremo in ritardo rispetto ad altre analisi e ad altre valutazioni, ma è importante parlarne. Come ha mostrato uno degli ultimi studi dell’AIE, l’Associazione Italiana degli Editori, i manga hanno subito una frenata. Niente di particolarmente significativo nello schema dei grandi numeri, per carità. Ma è comunque un segnale di una contrazione all’interno del mercato dell’editoria a fumetti.
Chi, ora, sta andando bene – e sta andando davvero bene, non solo per modo di dire – sono i titoli pensati per i più giovani. Bambini, ragazzi, preadolescenti. E in questo gran parte del merito è di Pera Toons, che in alcune classifiche dell’anno scorso, tra la fine di novembre e l’inizio di dicembre, è riuscito a occupare più posizioni (talvolta, addirittura, sei su dieci). Sio, che ha fondato una sua casa editrice e ha lanciato una nuova rivista, si è spostato nelle edicole e continua, a suo modo, a puntare su quel pubblico. Ma è vera una cosa. E cioè che i lettori di Sio sono cresciuti, hanno cambiato gusti e interessi; alcuni lo seguono ancora, mentre altri hanno scelto nuove letture. Ed è giusto. Anzi, è naturale. Le persone non restano sempre le stesse.
Torniamo, però, a Pera Toons. I suoi libri sono raccolte di battute e freddure; lo stile del suo disegno è semplice e immediato (un po’, anche se ci sono delle chiare differenze, come quello di Sio). Punta su un altro tipo di comicità. E ha seguito un percorso piuttosto lineare: YouTube, Instagram; dal digitale alla carta. L’intuizione di investire su di lui e sulle sue storie è stata di Tunué, un editore che in Italia è conosciuto per tutt’altro tipo di produzioni (è la casa editrice di Paco Roca, per fare un esempio). Dopo la bolla del periodo della pandemia, i manga hanno cominciato a perdere terreno. In parte perché tutto quello che c’era da comprare è stato comprato: le serie, gli albi autoconclusivi; i classici. E in parte perché non c’è stato un ricambio generazionale tra gli autori. Negli ultimi cinque anni, le serie di riferimento sono rimaste più o meno le stesse: Dragon Ball, One Piece, Demon Slayer, Chainsaw Man. E se certe edizioni speciali continuano ad andare bene, altre hanno fatto molta fatica.
C’è, poi, un ulteriore elemento che non va assolutamente sottovalutato. Ovvero la distribuzione anime. Molti editori hanno fatto affidamento a quel passaparola, a quel tipo di visibilità, e hanno evitato di investire in una struttura propria, capace di autosostenersi. E così, ora, senza le serie di riferimento, senza una continua informazione da parte di influencer e content creator, c’è come un ristagno. I manga vendono, sì, e vendono bene. Ma non vendono come prima. I fumetti per ragazzi sembrano essere il futuro (e diciamo “sembrano” perché, di nuovo, quando questo pezzo uscirà sarà passato del tempo, e in questo tempo probabilmente ci saranno stati altri stravolgimenti). Tuttavia è evidente un aspetto. Gli editori, anche più grandi, fanno fatica a investire, o quantomeno a puntare, su una produzione per ragazzi. Certo, ci sono riviste storiche come Topolino; c’è la Pimpa di Altan e c’è pure, già citato, Sio. Mancano, però, le nuove serie e i nuovi personaggi. E manca pure una visione differente, più intelligente e capillare, del mercato.
Forse, è arrivato il momento di rimettere al centro, anche nei ragionamenti editoriali, il lettore. E non come singolo: facile da identificare e definire. Ma nella sua complessità: come uno spettro variegato di interessi e target.
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