I fumetti sono importanti. Come un libro, un film e una serie Tv. E a volte sono talmente importanti che possono avere un ruolo centrale nella formazione e nella crescita delle nuove generazioni. Perché forniscono esempi, interpretazioni, possibilità. Perché dicono alle persone che cosa può succedere, come possono sentirsi e che cosa vuol dire perdere un affetto. Parlano la lingua della verità e dei sentimenti; sono intrattenimento e puro piacere. Commedia e dramma insieme. I fumetti sono complessi, non complicati. E sono ricchi, sfaccettati, costruiti su più livelli e su più punti di vista. Non vanno sottovalutati. Vanno, al contrario, presi seriamente in considerazione. E l’abbiamo già detto e ripetuto su queste pagine.
Con la morte di Akira Toriyama, non se ne è andato solamente un grande mangaka; se ne è andato un autore che è stato in grado di avvicinare persone diversissime tra di loro e di ribadire il potere dell’immaginazione. E questa cosa, in molti, hanno fatto finta di non capirla. Hanno minimizzato la reazione dei lettori e degli spettatori delle opere di Toriyama, e hanno finito per banalizzare qualunque tipo di risposta. Perché, ci chiediamo? Probabilmente sono i tempi che cambiano e le persone che, invece, si ostinano a rimanere indietro, nel passato. Probabilmente è l’ennesimo cortocircuito generazionale, che vuole dividere e separare passioni e interessi, come se esistessero categorie differenti: migliori, peggiori, passabili. Probabilmente, anzi, è la resistenza fisiologica di un sistema al rinnovamento, e quindi ogni punto di vista che si discosta da quello principale va trattato con sospetto.
Potremmo citare altri manga. Per esempio Slam Dunk di Takehiko Inoue, che usa lo sport, il basket, per parlare di solitudine e accettazione, di amicizia e sconfitta. Ma anche in Italia abbiamo autori che sono stati in grado di tracciare una linea e di mettere in risalto temi e argomenti che la narrazione (si dice così, no?) più tradizionale e conservatrice sta deliberatamente ignorando. Pensiamo a Zerocalcare e alla sua produzione, al modo in cui è riuscito a sintetizzare un linguaggio nuovo, pieno di citazioni e di riferimenti ma pure abbastanza maturo e consapevole da avvicinare i lettori a una realtà più sfaccettata e viva. Oppure pensiamo a Gipi, al modo che ogni volta sa trovare per parlare, e per anticipare, l’attualità più stretta. Leggiamo Stacy, sfogliamolo, capiamolo. Dentro ci siamo noi, con la nostra mediocrità e fallibilità, con le nostre facce lunghe, risate costrette e la nostra ossessione per il successo. Che cosa devo fare per riuscire? Sconfessare l’altro, metterlo alla gogna? Perfetto. Ma ci sono pure gli autori francesi, inglesi e americani: non dimentichiamoli.
Il fumetto è una cosa ampia, viva, che si innova in continuazione e che non si ferma, come invece fanno altri linguaggi, davanti ai limiti. Finalmente, e questo va detto, la discussione si sta ampliando e si sta considerando anche il ruolo più provocatorio dei fumetti. Perché l’arte, quando è arte vera, deve fare pure questo. Prendere ciò che conosciamo e accettiamo come sistema di valori e criticarlo. A volte, addirittura, distruggerlo. Come esseri umani, abbiamo bisogno di sfide e di confronto. E ultimamente il fumetto si sta muovendo esattamente in questa direzione. Coconino Press ha pubblicato La strada di Manu Larcenet, basato sull’omonimo libro di Cormac McCarthy. Ecco, quello è un tassello in più, un’aggiunta, non una rilettura. Eppure è in grado di dare al male e all’umanità uno spessore ulteriore. E va osservato, letto, studiato. Le immagini possono colpire come sassi, e le parole – poche e misurate – s’infilano sottopelle, tra i nervi e i muscoli, e tirano. Strattonano.
I fumetti ci dicono che il mondo non è come lo vediamo, che è diverso, che ha sia luce che ombre, e ci mettono in guardia. Venite, ci sussurrano; venite e leggete, e imparate. I fumetti, lo ripetiamo, sono importanti.
© Coconino Press
© RIPRODUZIONE RISERVATA