A 20 ore di aereo dall’Italia, sotto una bufera di neve e con gravi difficoltà a trovare del caffé decente (l’espresso migliore lo fanno da Starbucks, e ho detto tutto) capita di sentirsi un po’ soli.
Mi è quindi di un certo conforto annunciare che stanotte, che vi troviate all’Eccles Theatre di Park City, Utah (non credo), o nel tepore del vostro letto (più probabile), potrete fare la stessa cosa: assistere alla prima mondiale di Life In a Day, il primo film interamente realizzato attraverso il montaggio di video inviati dagli utenti di You Tube, registrati in tutto il mondo il 24 luglio 2010.
Quando infatti qui saranno le 18.15 e in Italia le 2.15 della mattina (ma voi connettetevi un po’ prima che non si sa mai) il film andrà in scena contemporaneamente presso il più grande schermo del Sundance Festival e online, proprio su You Tube.
Il progetto, prodotto dai fratelli Scott – Tony e Ridley – e diretto da Kevin McDonald (State of Play, L’ultimo Re di Scozia), è il risultato di una gigantesca operazione di montaggio: si è partiti da oltre 5.000 ore di girato, inviate da circa 80.000 operatori fai da te.
Il risultato, che la stampa ha potuto vedere in anteprima, è un vorticoso collage di voci e tradizioni, stati d’animo e dichiarazioni di fede, panorami naturali e interni domestici, stati climatici e illuminazioni artificiali. Il film segue in modo coerente il dispiegarsi delle 24 ore di una giornata, partendo dal buio e dall’alba e finendo con lo scoccare della mezzanotte seguente. Tra una deviazione e l’altra, è inoltre diviso in capitoli associati alle comuni occupazioni quotidiane: il risveglio, la colazione, il lavoro, il pranzo… Ma anche a domande specifiche, come “Che cosa ami?”, “Di che cosa hai paura?”, “Cosa porti in tasca?”, o a momenti dell’esistenza come la nascita e la morte.
Privo di qualsiasi forma di censura – durante il film assistiamo tra l’altro a un furto e a persone che sventolano con arroganza la propria pistola o la propria siringa – il film, insieme a un certo ovvio fascino esotico, è una testimonianza straordinaria di due fatti. Il primo: che nonostante le enormi differenze economiche, ormai una videocamera o uno smartphone si trovano tanto a Manhattan quanto nel più sperduto villaggio del Borneo, tra chi mangia spaghetti quanto tra chi mangia armadilli. Il secondo: che se oggi esiste un tratto culturale comune al mondo intero, è la necessità di mostrarsi, di far parte della rete mondiale delle immagini.
Corpi martoriati, malati terminali, preghiere e bestemmie, parti e uccisioni, ogni cosa accade di fronte a un obiettivo. O meglio, qualsiasi cosa accada, qualcuno è pronto a puntarci un obiettivo sopra. E se lo fa, non lo fa per tenere il risultato per sé.
In questo senso, le testimonianze più toccanti e respingenti assieme sono quelle girate nel contesto di famiglie comuni toccate da gravi lutti, immortalati (è proprio la parola giusta) dalla telecamera.
Come quel padre giapponese che, appena sveglio, chiama il figlio piccolo – incerto e sbadigliante – ad accendere un bastoncino di incenso di fronte a una foto della mamma defunta. In una casa ormai così ingombra di rifiuti e panni sporchi che quasi non c’è spazio per muoversi.
Sotto, il trailer e il poster di Life in a Day: