Un buon mago o illusionista, si sa, non rivela mai i suoi trucchi. Così non fa la Disney, che sulla magia e sul sense of wonder ci ha costruito un successo centenario e ultra miliardario. La casa di Topolino però ha voluto farci sbirciare dietro le quinte, per farci vedere quanto sia pronto il cappello a cilindro dal quale la maggior parte delle volte sono stati tirati fuori molti sensazionali conigli.
Nella cornice del D23, la convention Disney andata in scena dal 9 all’11 agosto 2024 ad Anaheim (la “città” di Topolino, dove si trova il Disneyland Resort e i parchi più famosi della major), abbiamo avuto la possibilità di sederci insieme ai responsabili creativi di 5 dei 7 studios che compongono ora la galassia Walt Disney Company: Kevin Feige (Marvel), Pete Docter (Pixar), Kathleen Kennedy (LucasFilm), Jennifer Lee (Walt Disney Animation Studios) e Alan Bergman (Disney Studios, la parte live-action della compagnia) ci hanno raccontato nel dettagli come funzionano i rispettivi reparti e come il continuo scambio tra di loro consenta di alzare sempre più in alto l’asticella dei risultati – anche se non mancano ogni tanto i giri a vuoto.
«C’è stato un tempo in cui ci concentravamo solo su animazione e live-action – racconta Bergman, nella compagnia da oltre 40 anni -. Bob Iger ha fatto acquisti strategici, ora abbiamo 7 fantastici studios [all’elenco mancano Searchlight e 20th Century Fox, acquisiti nel 2019, ndr] con i quali possiamo fare film originali, sequel, spin-off di tutti i generi. Senza questi talenti qui, questi marchi non sarebbero niente però». Parliamo dei responsabili a vari livelli (produttori, sceneggiatori, ma anche registi ) di 8 dei primi 10 maggior incassi nella storia del cinema, dopotutto.
Capire quando un film sarà un successo, però, non è mai scontato: «A volte sappiamo subito cosa abbiamo tra le mani, altre volte che c’è qualcosa ma dobbiamo ancora arrivarci. Sinceramente, a volte facciamo solo il meglio che possiamo e non riusciamo comunque a farcela, ma fa parte del business. L’hit rate è comunque altissimo» puntualizza il co-chairman di Disney Entertainment. Per il momento però la compagnia può sorridere, grazie ai risultati di Inside Out 2 e di Deadpool & Wolverine, gli unici due film del 2024 ad aver superato la soglia del miliardo di dollari al botteghino mondiale.
È proprio Pete Docter a entrare nel dettagli del sequel animato Pixar che ha stravolto il box office e invertito la tendenza del box office 2024, dopo mesi di sofferenza primaverile. Un film che è stato in grado di conquistare mezzo mondo grazie alla sua universalità e alle nuove emozioni portate su grande schermo: «Questo sequel è andato bene perché è piaciuto il film e soprattutto perché c’è Ansia, ne abbiamo molta nel mondo. Abbiamo provato a spiegarla, a dare alle persone gli strumenti per parlarne anche in modo spiritoso». Il franchise ora si espanderà, come annunciato proprio durante il D23: arriverà in streaming su Disney+ la serie Dream Production, ambientata sempre nella testa di Railey ma tra il primo e il secondo film.
Nella stessa convention è stato confermato anche Frozen III, a sua volta pronto a fare sfaceli al box office mondiale come i due precedenti capitoli diretti da Jennifer Lee, ora chief creative officer dei Walt Disney Animation Studios. Un reparto che è la storia stessa della Disney e che ora alterna diversi tipi di prodotti: «Non si facevano molti sequel in passato, ma abbiamo avuto nuove idee arrivate da filmmaker per film come Frozen II – Il Segreto di Arendelle e Ralph Spacca-Internet. Sono loro a portare idee e storie, a volte originali e a volte no. Senza gli originali però non faremmo nuove scoperte e per questo investiremo sempre in questo tipo di film».
Chi ha trovato una strada nuova per espandere il proprio orticello è Kathleen Kennedy, responsabile dei film e delle serie della galassia Star Wars: «Mandalorian è stata la prima serie su Disney+ – ci ha detto -. Era un territorio nuovo, ma grazie ai fan è diventato un successo e Baby Yoda un fenomeno. A quel punto abbiamo pensato di entrare in una nuova era, dopo la fine della saga con la terza trilogia. Dopo tre stagioni The Mandalorian diventerà un film, mentre con Rogue One abbiamo fatto l’opposto: il fatto che possiamo spostarci da piattaforma a piattaforma è interessante per il futuro della distribuzione, gli spettatori sono ormai abituati a vedere le cose in modi diversi».
Una strategia condivisa anche dai Marvel Studios, che pochi giorni fa hanno superato i 30 miliardi di dollari di incasso complessivo grazie ai risultati di Deadpool & Wolverine. Un franchise che ha a disposizione un pantheon quasi infinito di storie e personaggi. Ma come li scelgono Kevin Feige e i suoi? «All’inizio ragionavamo in base ai diritti dei personaggi che avevamo, ora in base al tipo di film che vogliamo fare, di storia che vogliamo raccontare – ci ha detto al D23 -. La cosa unica della Marvel è che colpisce diversi target: dal pre-school agli adulti, permettendoci di raccontare diversi tipi di storie. I fumetti hanno 85 anni, ci sono tantissime storie: ogni volta che annunciamo qualcosa i fan ci chiedono qualcos’altro. Ciò che mi entusiasma di più ora sono gli X-Men».
Disney è una delle principali major al mondo, ma nonostante i successi nessuno è esente dalla pressione che deriva da questo tipo di responsabilità verso il pubblico. Un tipo di pressione particolare, però: «Cerchiamo di essere sempre all’altezza dei nostri standard – racconta Pete Docter -. Vogliamo essere noi orgogliosi di qualcosa. Il cinema non è scienza, è mistero: c’è sempre da capire qualcosa, di fare le cose nel modo migliore. La pressione è tutta interna». Punto di vista condiviso anche da Jennifer Lee: «Bisogna lottare per ciò che ci sembra giusto. Moana e Zootopia sono film copletamente diversi tra loro, ma non si può mai restare uguali e questo può essere spaventoso, ma va fatto». Kevin Feige tiene il punto: «Raramente puntiamo subito a fare qualcosa di grande, le aspettative possono sfuggire di mano. Ma tutti qui ce l’hanno fatta, al punto che il pubblico si aspetta sempre record da noi. L’anno scorso abbiamo avuto alcune delusioni, ma è stato un bene: ci ricorda che il successo non è garantito».
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