Nel 2008, il film horror di Eric Valette Chiamata senza risposta è diventato un caso per la valanga di recensioni negative ricevute, al punto da raggiungere uno storico 0% sull’aggregatore Rotten Tomatoes. Questa fama in negativo ha finito purtroppo per eclissare anche il film a cui era ispirato, ovvero il J-horror The Call – Non rispondere, diretto nel 2003 da Takashi Miike. Nonostante la critica non sia stata particolarmente generosa neanche con quest’ultimo titolo, il confronto è sicuramente impietoso per il remake. Peraltro, l’opera giapponese – che pure è stata realizzata prima della diffusione massiccia dei social network – risulta tuttora sorprendentemente attuale nella sua osservazione delle potenziali caratteristiche distruttive delle moderne tecnologie.
La storia è incentrata su un gruppo di ragazzi che ricevono dei misteriosi messaggi sul cellulare. Nelle registrazioni della segreteria telefonica, effettuate in una data futura a quella del tempo della narrazione, si sente la loro stessa voce urlare in preda al panico. Raggiunta la data in questione, uno dopo l’altro i ragazzi iniziano a morire. Avendo intuito che presto sarebbe toccato anche a lei, l’adolescente Yumi Nakamura decide così di fare squadra con il detective Hiroshi, che sta indagando sulla morte della sorella, avvenuta in circostanze simili.
All’epoca, la premessa poco originale e simile a quella di molti altri horror giapponesi è stata motivo di forti critiche per l’opera di Takashi Miike. Tuttavia, con questo film l’autore ha voluto riflettere su una tematica che oggi ci sta più che mai a cuore: le potenziali disastrose conseguenze dell’epoca del digitale. Il film, infatti, è strapieno di immagini in cui i personaggi guardano ossessivamente lo schermo del loro cellulare, apparendo disconnessi tra di loro. Oltre alla violenza fisica, dunque, il più grande trauma che subiscono è proprio l’alienazione dovuta alla tecnologia, che a sua volta conduce a indifferenza verso gli altri.
Uno dei temi principali, infatti, è la desensibilizzazione al dolore dovuta dalla prolungata esposizione al digitale. Più volte, i personaggi parlano con indifferenza delle morti dei loro compagni, o ne osservano le foto senza sembrare minimamente toccati, nonostante tali sequenze di morte siano rappresentate dal regista in maniera molto esplicita e grottesca. Il film si sofferma anche sulla spettacolarizzazione della violenza proposta dalla televisione e da Internet, grazie alla storyline di Natsumi, una ragazza che muore in diretta durante un programma televisivo.
Prendendo esempio da Pulse di Kiyoshi Kurosawa e anticipando film come Late Night With The Devil, questo horror giapponese spesso dimenticato è riuscito a esplorare in maniera ancora attuale e spaventosa il modo in cui le tecnologie influiscono sulla psiche umana, e in particolare sulla fascinazione per il macabro e la desensibilizzazione verso la morte, la violenza e il dolore.
Fonte: Collider
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