Su incarico di una famiglia, preoccupata che la madre ospite in una casa di riposo abbia un buon trattamento, l’investigatore privato Romulo (Romulo Aitken) assume come collaboratore l’ottantatreenne Sergio (Sergio Chamy), candidato ideale per il ruolo di talpa all’interno dell’alloggio per anziani. Sergio diventa un vero agente segreto e tenta di rendere credibile la sua presenza familiarizzando affabilmente con gli altri ospiti della struttura. Ma le emozioni sono difficili da separare dall’incarico professionale…
Ne El agente topo, presentato in anteprima italiana nella sezione Contemporary Lives del Biografilm festival, la regista cilena Maite Alberdi si è destreggiata con quel tipo di commedia che cerca di parlare di cose serissime, di usare le risate a mezza bocca per toccare questioni ingombranti, perfino gravose. Il film è ovviamente un documentario (termine sempre più ombrello e spogliato di senso, ormai, negli scenari del cinema di oggi) ma anche uno spy movie improbabile, esilarante. Forse un po’ scalcagnato, ma sempre in senso buono.
Gli abusi in una casa di cura sono il pretesto per un’indagine dell’umano che non rinuncia a traiettorie narrative buffe e solari, anche se la zampata amara è naturalmente sempre dietro l’angolo. Ci si muove, con naturalezza, tra sorrisi e inciampi più cupi, con una gioiosa confusione che finisce per sbriciolare gli steccati tra fiction e non fiction senza farlo pesare.
El agente topo parla di vecchiaia, indubbiamente – e dunque di paralisi e di isolamento sociale, alla luce del presente – ma anche di piccole e grandi arguzie destinate a far saltare il banco, di dolcezze e meschinità più o meno taciute. Quando cerca lo scarto decisivo non sembra trovare sempre la compattezza filosofica ed esistenzialista del cineasta finlandese Aki Kaurismäki (un riferimento che comunque viene in mente), né la forza smagliante delle sue maschere attonite. Convince maggiormente, invece, quando vola più basso (per fortuna lo fa quasi sempre), collocandosi tra qualche parte tra i buffetti senili ma non certo accomodanti di Gianni Di Gregorio, del suo Pranzo di Ferragosto in particolare, e la vena tragicomica, acida e grottesca degli argentini Gastón Duprat e Mariano Cohn (quelli de Il cittadino illustre).
Baciato da un successo di pubblico nel suo piccolo contagioso, El agente topo, co-produzione tra Europa e America a cavallo tra continenti, umori e sensibilità geografiche e cinematografiche molto diverse, prima di essere mostrato al Biografilm 2021 è entrato nella cinquina dei nominati agli Oscar come miglior documentario. In precedenza era stato inserito nel concorso World Cinema Documentary del Sundance Film Festival e aveva ottenuto il premio del pubblico come miglior film europeo al Festival internazionale del cinema di San Sebastián.
Parlare di vecchiaia come fa El agente topo, in modo cioè levigato e intenerito, ma anche gioioso, ruvido e paradossalmente elettrizzante (con quei brividi di follia là dove non te li aspetteresti) è una scorciatoia che tanti utilizzano per aver la sicurezza di toccare certe corde giuste presso il grande pubblico, di intercettare praticamente tutte le sensibilità. In questo caso non siamo però di fronte a un film ruffiano, ma a un lavoro che, anche nei momenti più convenzionali, non nasconde i nodi più tristi e, se cerca di scioglierli, lo fa senza cancellarli o negarli del tutto. Con un umorismo intelligente, un po’ cinico, un po’ imprendibile, paradossalmente molto umano.
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