Elio Germano: Come mi sono costruito una “magnifica presenza”
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Elio Germano: Come mi sono costruito una “magnifica presenza”

L’attore protagonista della ghost story di Ferzan Ozpetek, in uscita questo weekend, racconta - in compagnia del regista, di Margherita Buy, Beppe Fiorello e Domenico Procacci, - i segreti del suo ultimo ruolo

Elio Germano: Come mi sono costruito una “magnifica presenza”

L’attore protagonista della ghost story di Ferzan Ozpetek, in uscita questo weekend, racconta - in compagnia del regista, di Margherita Buy, Beppe Fiorello e Domenico Procacci, - i segreti del suo ultimo ruolo

Per ospitare i cast completi dei film di Ferzan Ozpetek, re del cinema corale, con un suo pubblico italiano molto fedele, ci vorrebbe la prima fila completa di un cinema. Ecco perché alla conferenza stampa di oggi, tenutasi presso l’Armani Hotel di Milano (location scelta dal regista italo-turco per la stretta partnership con la casa di moda), è accompagnato “solo” da una parte del cast: Elio Germano, il protagonista, Margherita Buy, Vittoria Puccini, Beppe Fiorello e il produttore Domenico Procacci. Tutti riuniti per raccontare il film Magnifica presenza, presentato oggi alla stampa milanese. Una ghost story, un po’ horror, un po’ farsesca e un po’ drammatica (per i riferimenti ai rastrellamenti fascisti nei confronti delle persone di origine ebraica), che racconta di un aspirante attore, “serenamente gay”, che si ritrova in una casa abitata da fantasmi di persone che in vita furono attori . Ecco la cronaca di quanto cast, regista e produttore hanno raccontato ai cronisti intervenuti.

Germano, si è dovuto sottoporre a un provino come quello che Pietro, il suo personaggio, affronta nel film per ottenere la parte?
E.G. :
«In realtà abbiamo fatto dei provini mentali. Io gli proponevo delle strade percorribili per il personaggio. Lui ovviamente me le bocciava tutte».

Quali erano i vostri fantasmi? Specie durante la lavorazione del film?
E.G. : «
Il mio fantasma personale era proprio Pietro. Era come un amico comune che si inseriva sempre nelle mie conversazioni con Ferzan. La collezione di figurine con eroi del Risorgimento, ad esempio, nasceva proprio da una mia ricerca attoriale per definire il personaggio. Anche se devo ammettere, faccio outing, che l’idea mi è venuta da una collezione che ho fatto veramente. La collezione di figurine permette tutta una serie di livelli di meticolosità, legati ad esempio all’incollare le figurine in modo perfetto, che ovviamente  caratterizzano molto bene la maniacalità del personaggio. Inoltre, la cosa tristissima, che ne esaspera il “nerdismo”, è il fatto che lui di album ne ha due: uno per sé e uno per i doppioni».

Ozpetek, lei cita una frase di Un tram chiamato desiderio («Ho sempre potuto contare sulla gentilezza degli estranei») che è riferita a “famiglie” che raramente (unico caso attestato finora: Mine vaganti) sono di consanguinei. Si potrebbe dire che questa frase sembra racchiudere un po’ tutta la sua poetica?
F.O.: «
A me piace molto far entrare in contatto mondi completamente diversi tra loro. Se ne Le fate ignoranti la Buy scopriva tutto un mondo a lei alieno, ma comunque contemporaneo, qui invece c’è anche il discorso della temporalità (i fantasmi della casa la abitavano negli ultimi anni del ventennio fascista). Anche gli attori hanno contribuito molto alla scrittura della sceneggiatura».

Tra l’altro, lei adora giocare sempre sulla memoria e sui toni nostalgici.
F.O. : «
Mi hanno anche detto che il mio film ricordava molto sia il film di Woody Allen che The Artist, ma giuro che non li ho neppure visti, perché ero completamente preso dal mio film. Anzi, adesso non vedo l’ora di recuperarli. In realtà il protagonista del film non è che sia così nostalgico. A lui, in realtà, manca il presente, è solo e inesperto, è in cerca di amore e lavoro. Quello che, invece, mi entusiasma è capire il presente attraverso lo studio del passato. E poi mi è piaciuto molto mettere quel sottotesto sull’Unità d’Italia».

Margherita, che differenza hai trovato nel lavorare con Ferzan dai tempi di Le fate ignoranti, specie dopo Mine vaganti che è stato un po’ individuato dalla critica come il film della svolta per Ozpetek?
M.B.: «
In realtà non è cambiato molto. Di solito litighiamo un po’, anche se ogni volta poi mi accorgo che dovrei dargli più retta… Anche perché è stato capace di gestire una sceneggiatura gigantesca, con un numero di attori pazzesco che gli ciondolovano intorno facendogli mille richieste impossibili».

Nel film si toccano tanti registri. E’ stato difficile?
F.O.:
«Non so come ho fatto a gestire tutto, ma mi ha dato grande soddisfazione la moglie del mio elettricista che ho invitato alla proiezione e a ogni scena di paura gridava: «Oddio che paura!», opppure «Belissimi costumi!», oppure – vedendo Beppe Fiorello truccato come Valentino – «Ma perché gli attori non si truccano sempre?». Ecco, io vorrei che tutti gli spettatori reagissero come lei, che provassero tutto quello spettro di emozioni, ecco perché nel film si possono cogliere tanti registri diversi».

Nel film compare anche il Teatro Valle occupato. Come mai lo ha scelto come location?
F.O.:
«Volevo un finale pirandelliano. ATTENZIONE SPOILER! Germano porta i fantasmi di casa sua al Valle con il tram numero 8. È una scena che mi sono sognato di notte e l’ho comunicata subito a tutti via sms, perché avevo paura che se fossi morto prima di comunicarla a qualcuno, non sarebbe stata presente nel film».

Il Teatro può ancora avere il fascino di una volta?
E.G. :
«Il problema è che è venuto meno l’ETI, l’Ente Teatro Italiano che, per quanto poco, qualcosa faceva. Era un collante importante per le piccole compagnie, se non vogliamo che il teatro muoia, dobbiamo dedicare fondi e progetti».

Procacci, com’è lavorare con Ozpetek?
D.P:
«Ha un modo di lavorare davvero singolare. Cambia continuamente scene anche durante le riprese e se gli comunico che qualcosa non mi convince, organizza delle assemblee pubbliche in cui dichiara: il produttore Domenico Procacci non è convinto di questa battuta, voi cosa ne pensate?. È molto singolare il suo modo di lavorare, ma funziona».

 

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