I Fratelli Lumiere avranno pur inventato il cinema, ma Enrico Lucherini (nella foto Getty Images) è l’uomo che ha inventato il ruolo del press agent come lo intendiamo oggi, per lo meno in Italia. E, alla vigilia dei suoi “4 volte 20 anni”, l’Assessorato alle Politiche Culturali ha promosso per lui la mostra Purchè se ne parli. Dietro le quinte di cinquant’anni di cinema italiano, all’Ara Pacis di Roma.
La mostra si svolgerà dal 13 ottobre 2012 al 6 gennaio 2013 presso il Museo dell’Ara Pacis di Roma (Biglietto intero € 10,00; Ridotto € 8,00). Qui di seguito vi riportiamo le dichiarazioni di Lucherini, visibilmente emozionato durante la conferenza stampa, che è stata introdotta da Gianluca Pignatelli, storico colega e amico del press agent romano.
Cosa si prova ad avere una mostra dedicata alla sua carriera?
Enrico Lucherini: Sono molto emozionato, soprattutto quando entro là, perché vedere tutte le locandine dei film, che sono neanche una terza parte di quelli che ho curato, mi emoziona non poco. Non avrò nostalgia di lasciare il cinema, perché il cinema è molto cambiato per come la vedo io, ma continuerò a fare fiction, dove c’è più calma e i tempi sono più tranquilli. Tornatore dice che a me non verrà mai l’Alzheimer, perché si mette paura lui di me! Spero di far vedere questa mostra al centro sperimentale, all’Accademia di Arte Drammatica e a tutte le agenzie che hanno la specialità di istruire attori. Farò moltissime cose qui, se me lo permetteranno. E poi voglio inventare un nuovo lavoro, che in America c’è ma qui no, ed ha pure un grande successo, ma ovviamente non vi dirò cos’è!
Con questa mostra celebra l’addio al cinema: chi le mancherà di più?
EL: Mi mancherà stare in sala con voi, è la prima volta che sono dall’altro lato. Mi mancherà dire una battuta ai film promossi, qualche volta Gianluca mi inviterà (ride, NdR). Chi mi mancherà lo sapete, ne ho viste e fatte di tutti i colori, Marcello, Sofia, Luchino, Pierpaolo… Me ne mancheranno davvero tanti.
Qual è il cambiamento più forte che hai avvertito dai tuoi inizi nel mondo del cinema?
EL: Prima era più facile. Quando ho cominciato c’era una sola tv, forse due, i paparazzi stavano solo in via Veneto, non esistevano i giornali rosa, era più semplice, lavoravo su un giornale, su un quotidiano. I tavoli di Via Veneto sono state le mie prime scrivanie, collaboravo con questi ragazzi che scattavano foto, che Federico (Fellini, NdR) chiamò paparazzi. Prima c’era più voglia di fare e ci si riuniva nelle case. Adesso si riuniscono forse in due o tre, sarà colpa della crisi! Era molto più stimolante, adesso accade tutto via mail. I Festival non mi piacciono più e questo è il primo anno che non sono andato a Venezia. Ho nostalgia del piccolo pino che mi copriva il mare dalla camera dell’Excelsior quando ero ragazzo: adesso è diventato talmente alto che vedo il mare! Mi è mancato a volte il pino, ma non il cinema! Questa mostra è dedicata ai giovani. Devono capire quanto amore e quanto lavoro c’è dietro ai film.
Che cosa ne pensa del cinema italiano contemporaneo rispetto a quello che lei hai vissuto nel corso della sua carriera?
EL: Il cinema italiano fa cose troppo italiane, troppo piccole. Quella ‘sta in fin di vita, l’altra non ha più soldi e si uccide. La gente non ha molta voglia e non va più a vedere quel genere di film. Accattone era più allegro de Gli Equilibristi!
I registi e gli attori di oggi sono paragonabili a quelli del passato?
EL: Posso chiamare il 113? Tu vedi una Loren, un Mastroianni o un Volontè? Ma dove stanno? Sono bravissimi e non ne voglio parlar male, ma non hanno dei registi che gli scrivono le parti in maniera adeguata. Una volta le giovani attrici avevano gli scrittori che gli creavano le migliori storie dell’epoca. Le attrici di adesso, invece, che sono comunque molto brave, non hanno i ruoli per diventare divine.