L’intervista completa è pubblicata su Best Movie di febbraio
Dopo La gabbianella e il gatto, Enzo D’Alò rivisita Pinocchio, affidando i disegni al più grande illustratore italiano, Lorenzo Mattotti; le musiche sono, invece, del compianto Lucio Dalla e la tecnica d’animazione sperimentata è interamente digitale.
Mai sottovalutare il pubblico dei più giovani, «i bambini hanno un’intelligenza pari o superiore a quella degli adulti, con il vantaggio che la loro non è filtrata da convenzioni». Sono le parole con cui il maestro Enzo D’Alò ci racconta il suo nuovo adattamento dall’immortale Pinocchio, film che il regista di La gabbianella e il gatto ha realizzato con un’innovativa tecnica digitale, a un decennio dalla prima stesura della sceneggiatura. Ma Enzo ci ha parlato anche dell’animazione in generale, del modello americano e dell’importanza di un cinema con dei messaggi articolati e profondi.
Pinocchio ha avuto una gestazione lunga dieci anni. Come mai tutto questo tempo?
«Il progetto era pronto a partire qualche anno fa ma ci fermammo per la parallela partenza del Pinocchio di Benigni. Valutammo fosse stupido fare due film italiani sullo stesso soggetto nello stesso periodo. Ma è stata una scelta salutare, perché mi ha permesso di lavorare più approfonditamente sulla sceneggiatura trovando un risultato più convincente della stesura iniziale».
Nel frattempo immagino vi siano venute incontro le migliorie tecniche del mondo dell’animazione?
«Esatto. Il lungo stop prima della ripartenza del progetto ci ha permesso di sperimentare per primi in Europa una tecnica di animazione esclusivamente digitale. Non esiste più carta, né matita; abbiamo preso un software canadese (Toonboom, ndr), lo abbiamo sviluppato rispetto alle nostre esigenze e poi abbiamo dovuto formare tutti gli animatori. Insomma, non è stata una cosa velocissima, ma ne è valsa la pena».
Che messaggio porta Pinocchio nel 2013?
«Il desiderio di libertà, l’ingenuità e la purezza: Pinocchio è un bambino ingenuo in un universo di adulti. Alla fine dovrebbe essere il mondo ad adeguarsi a lui e non viceversa, perché lui rappresenta la voglia di scoprire, invece si trova catapultato in una realtà omologata, in cui i grandi dicono delle cose ma ne pensano altre. È un bambino che viene al mondo a dieci anni, un E.T. che arriva in un posto che non conosce».
Com’è avvenuta la collaborazione con Lucio Dalla e che ricordi ne ha?
«Abbiamo lavorato tre anni insieme, purtroppo fino alla sua morte. Quando collaboro con i musicisti il rapporto è molto lungo: non sono abituato a contattarli fornendo il pre-montato per fare inserire le musiche, ma preferisco iniziare in pre-produzione e immaginare il film parallelamente alla colonna sonora. Con Lucio abbiamo terminato tre giorni prima che partisse per la sua ultime tournée. Ci incontrammo a Bologna, dove finimmo tutto quello che era rimasto in sospeso: la sua parte del pescatore verde e la canzone dei titoli di coda». […]