La storia di crescita e trasformazione di un uomo che è partito dai sobborghi fino ad arrivare al successo. Il calcio è stato la liberazione di Zlatan Ibrahimovic da un ambiente difficile: il suo notevole talento e la fiducia in se stesso lo hanno catapultato contro ogni probabilità ai vertici del calcio internazionale, portandolo a giocare in squadre come l’Ajax Amsterdam, la Juventus, l’Inter, il Milan, il Barcellona, il Paris Saint-Germain e il Manchester United.
I am Zlatan è un biopic che racconta i primi vent’anni di vita del fuoriclasse svedese, partendo dalla sua infanzia in un quartiere periferico di Malmö, città in cui è cresciuto sperimentando sulla sua pelle la durezza delle ristrettezze economiche e della vita di strada. Adattando la biografia scritta da David Lagercrantz nel 2011, il regista Jens Sjögren e il team che ha lavorato al progetto si interessa a un arco narrativo abbastanza tradizionale, puntando tutto sull’origin story di una personalità irriverente, imbizzarrita e mastodontica ma non trovando quasi mai uno scarto degno di nota e oscillando pigramente tra flashback e flashforward troppo confusi e affastellati da loro nel portare avanti la scansione temporale.
Non c’è a conti fatti grande epica calcistica, in I am Zlatan: un territorio sul quale è sempre pericoloso avventurarsi essendo il calcio, a differenza del tennis e soprattutto della boxe, uno sport ben poco cinematografico, avvolgente ma più legato alla dimensione onnicomprensiva del grande romanzo che alle esigenze di sintesi e dinamismo proprie della settima arte. Ci sono chiaramente i match del giovanissimo Zlatan, nei quali affiora tutto il suo talento sregolato, ma sono momenti abbastanza ridotti e sorvegliati, ai quali si preferisce l’esplorazione della conflittualità familiare e privata dell’uomo e della leggenda ante litteram.
Fan di Bruce Lee e Muhammad Ali, il piccolo Ibrahimovic di I am Zlatan sembra avere una predilezione particolare per figure di sportivi o atleti ammantati di una componente quasi divina, la stessa che lui in persona sarà solito attribuirsi nel pieno della maturità professionale. E contribuendo, specie negli ultimi anni, a creare una sorta di granitica mitologia condivisa intorno alla sua figura che l’ha fatto transitare agilmente dai campi da gioco alla cultura pop tout court, come ben evidenziato dalla sua ultima, invadente ma a conti fatti anche un po’ goffa, partecipazione al Festival di Sanremo accanto ad Amadeus.
All’inizio di di I am Zlatan vediamo Ibrahimovic solamente di spalle, senza che ci venga mostrato subito il volto del suo somigliantissimo interprete Granit Rushiti. Siamo in un campo d’allenamento dell’Ajax, all’epoca il calciatore ha 17 anni e la sua carriera da lì a poco svolterà completamente grazie a un gol da cineteca in cui mette a sedere mezza squadra avversaria: una rete, quella cavalcata a ostacoli contro il NAC Breda, che lo porterà a essere inscritto nella lista dei Maradona e dei Zidane e dei gol forse più belli di ogni tempo. Come il prologo il resto del film mantiene però purtroppo lo stesso approccio laterale e un po’ guardingo, senza valorizzare in chiave drammaturgica l’irruenza di Zlatan e limitandosi a illustrarne la giovinezza in modo eccessivamente didascalico, compilativo e bozzettistico.
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