Quei bravi ragazzi che incontra Molly’s Game. O l’altra faccia di The Wolf of Wall Street.
Si parla e si parlerà molto di Hustlers, in italiano Le ragazze di Wall Street (non certo a caso una crasi tra i titoli di due dei tre film citati), per il modo in cui riconduce una storia e una struttura narrativa perfettamente scorsesiana a una sensibilità di genere opposta e a una opposta suddivisione dei rapporti di potere. E dietro c’è infatti un team creativo tutto femminile.
Restando a Quei bravi ragazzi, è possibile fare delle associazioni di ruolo e interprete abbastanza precise. Constance Wu è Ray Liotta, la narratrice, quella che è uscita dal giro per il rotto della cuffia e racconta la sua storia a posteriori. Jennifer Lopez è Robert De Niro, la mente della banda, capace di educare e poi farsi carico delle incertezze delle compagne. Lili Reinhart è Joe Pesci, istintiva e inaffidabile, solo che i suoi attacchi compulsivi non sono di violenza omicida ma… di vomito (uno dei tanti ribaltamenti azzeccati del film).
La storia (vera) è quella di un gruppo di lap dancer che, dopo che la crisi dei subprime del 2008 e la conseguente penuria di clienti danarosi (quasi tutti broker di Wall Street), decide di riciclarsi nel business delle rapine: contattano i vecchi habitué del loro night club, li drogano e poi gli svuotano la carta di credito. Qui il film diventa anche una variazione sui Soliti Ignoti, perché per tutte è un business nuovo. È la parte più azzeccata di Hustlers: quando si abbandonano certi parossismi da chic flick (la festa di Natale…) la scrittura è equilibrata tra intrattenimento e intento politico, e c’è uno sguardo registico limpido, come nella scena in cui un cliente si getta dal tetto di casa e deve essere portato al pronto soccorso, o quella in cui le protagoniste “cucinano” il loro cocktail cercando il giusto dosaggio tra le droghe.
Bisogna però capirsi sul tono generale, per evitare fraintendimenti: siamo alla stessa distanza da Bridesmaids – Le amiche della sposa e Goodfellas, forse The Wolf of Wall Street è il riferimento più giusto da questo punto di vista, ma c’è comunque in quello Scorsese, soprattutto nell’ultima parte, una ferocia nei confronti del protagonista che Lorene Scafaria (regista e sceneggiatrice, da un articolo di Jessica Pressler) non si assume mai, mostrandosi quasi sempre complice dei suoi personaggi e riducendo i conflitti dentro il gruppo al minimo.
Certo, anche questa può essere una scelta politica in un film in cui un gruppo multietnico di donne prive di status sociale manda in tilt la casta dei maschi milionari bianchi di Wall Street, manipolando i loro desideri e usandoli per invertire il processo di reificazione, di soddisfazione unilaterale dei bisogni.
La domanda è: era necessario “sporcarsi le mani” per ottenere un’opera più incisiva? Forse sì, forse no, certo la serietà di un film non passa per il genere che sceglie. Ma a freddo si direbbe che Hustlers poteva essere ottimo, forse addirittura epocale, e invece rischia di essere ricordato dal pubblico solo come un buon film, una commedia simpatica.