Arthur (Fabrice Luchini) e César (Patrick Bruel) sono amici da quando entrambi frequentavano controvoglia lo stesso severissimo collegio. Ma non potrebbero essere più diversi: Arthur è un ricercatore medico puntiglioso e ossessionato dal rispetto delle regole; César è un guascone imprudente e trasgressivo che è appena stato sfrattato da casa sua in seguito alla propria bancarotta.
E se Arthur, divorziato con figlia, sta ancora aspettando pazientemente che l’ex moglie torni a casa, César colleziona avventure senza legarsi a nessuna. Per un equivoco, Arthur viene a conoscenza della gravissima condizione medica di César, e César si convince che sia Arthur a trovarsi in punto di morte. Da quel momento i due faranno a gara per realizzare i desideri finali l’uno dell’altro, anche quelli più lontani dal proprio gusto personale: il che ha il vantaggio di sbloccare lo stallo esistenziale in cui si trovavano entrambi.
Buddy movie alla francese, Il meglio deve ancora venire, nelle sale italiane a marzo distribuito da Lucky Red e presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma, porta la firma di Alexandre de la Patellière e Matthieu Delaporte, già registi di Cena tra amici, poi rifatto anche da noi da Francesca Archibugi ne Il nome del figlio, e autori della serie Papa ou maman, riproposta in chiave italica da Albanese e dalla Cortellesi.
Il loro nuovo film è una commedia drammatica (gli americani la chiamano dramedy, qualcun altro in questi casi scomoda l’aggettivo “agrodolce”) forte di una sceneggiatura a orologeria, che fa dei contrasti tra i due protagonisti – morali e materiali – l’essenza leggiadra di uno spartito intelligente e spigliato, recitato a meraviglia. Un non banale inno all’amicizia che vive di non detti indispensabili, di telefonate nel cuore della notte, di sfumature in cui si annidano la fragilità della virilità odierna e gli scompensi nevrotici che ne derivano, impossibili da nascondere come polvere sotto il tappeto.
Bruel e Luchini, dal canto loro, sono due maschere impagabili e mai grottesche, esilaranti e dolenti. Il primo, con la sua fisicità corpulenta e i modi solo in apparenza rozzi, è l’ideale contraltare scenico del secondo, che come al solito si conferma interprete sopraffino nel lavorare al contempo sopra e sotto le righe, mescolando anima istrionica e occhi strabuzzati, briose movenze d’avanspettacolo e commosse e afflitte incursioni nel dramma psicologico, tutte in sottrazione.
Ci sarebbe da interrogarsi a lungo su quanto il cinema transalpino sia specializzato in questo tipo di prodotti, che invece dalle nostre parti sono impensabili e puntualmente vessati da retorica annacquata quando va bene e buonismo familista quando va male. Invece Il meglio deve ancora venire, pur nella scaltrezza di fondo che ne fa un perfetto “nuovo Quasi amici”, non sbaglia un colpo nel dosare i propri ingredienti con sincera ma non per questo gravosa amarezza, gestisce con arguzia un’idea di base fortissima e sulla carta respingente – il rimpallo della malattia, l’inevitabile, sconfortante oscenità della sua accettazione – e ne spreme fino in fondo tutte le potenzialità drammaturgiche. Per mettere a punto una commistione tra risate e lacrime che sa di balsamo per la mente e per il cuore.
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