Festival di Berlino 2012, una spy story con Clive Owen conquista tutti
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Festival di Berlino 2012, una spy story con Clive Owen conquista tutti

Si chiama Shadow Dancer, ed è diretta dal regista di Man on Wire James Marsh: ve la raccontiamo

Festival di Berlino 2012, una spy story con Clive Owen conquista tutti

Si chiama Shadow Dancer, ed è diretta dal regista di Man on Wire James Marsh: ve la raccontiamo

Dopo aver messo a rischio la corona britannica in W.E. (regia di Madonna, in uscita in Italia il 20 aprile) l’irlandese Andrea Riseborough continua a “combattere” gli inglesi in un tesissimo spy-thriller firmato da James Marsh (leggi la nostra intervista all’ultimo Festival di Roma). Gli anni sono quelli delle prime trattative per la pace in Irlanda del Nord, ma la pace sembra un orizzonte ancora lontanissimo per la giovane Colette e la sua famiglia. Dopo aver perso un fratello in una sparatoria, gravata dai sensi di colpa, Colette si fa coinvolgere, insieme agli altri due fratelli Gerry e Connor, nella lotta armata. Catturata dall’MI5, i servizi segreti inglesi, a Colette viene offerta la possibilità di collaborare…

È solo l’inizio di una escalation di tensione in cui i sospetti dei compagni di lotta, ma anche le rivalità e le strategie nascoste, fanno sì che il rapporto tra Colette e la sua controparte dell’MI5, Mac (un Clive Owen in splendida forma), sfili attraverso tutte le fasi, dalla diffidenza alla reciproca preoccupazione, in un mondo in cui niente va dato per scontato. Non ne uscirà bene nessuno, e tra bersagli designati e vittime collaterali lo sguardo disperato che la protagonista “indossa” dalla prima scena trova tutte le sue ragioni. Il ritratto di famiglia e d’epoca riesce ad essere asciutto e coinvolgente al tempo stesso e la giovane protagonista Andrea Riseborough (che proprio qui a Berlino era stata eletta shooting star qualche anno fa) si fa valere in un cast tutto azzeccato. La fotografia livida del paesaggio e degli interni, le macchie di colore dei soprabiti indossati da Colette per altro senza alcuna malizia, sono le sfumature di un mondo che Marsh dipinge con spietata imparzialità.

L’intreccio tra fedeltà a una causa (sia essa la sicurezza nazionale o l’autodeterminazione irlandese) e i rapporti umani e familiari che con essa entrano in conflitto, grazie anche alla distanza temporale dagli eventi (siamo nel 1993, anche se un importantissimo antefatto si svolge addirittura nel 1971), non scivola mai nell’ideologia, ma diventa la chiave di ognuna delle moltissime svolte. Una spy story, insomma, in cui non si sente mai la mancanza dei mille gingilli tecnologici di cui le moderne storie di spie sembrano ormai non poter più fare a meno. Qui, invece, è il fattore umano (con tutta la sua imprevedibilità) ad essere, da ogni lato della barricata, decisivo. Una scommessa vincente che ha riscosso un plauso unanime di pubblico e critica alla Berlinale. In attesa di sfidare il pubblico internazionale.

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