La serie
Ma che cosa c’entra il primo episodio di una serie tv nel serio programma del Festival di Berlino? Moltissimo se dietro la macchina da presa si trova Jane Campion, anche autrice della sceneggiatura insieme al co-creatore della serie (e regista di 3 episodi), Garth Davis. La regista australiana, per altro, sarà tra i protagonisti di una tavola rotonda dal titolo significativo: La tv è il nuovo cinema? Una domanda che in tanti si sono fatti negli ultimi anni guardando non solo alla qualità di molti prodotti televisivi, ma anche al passaggio, ormai fluido, di diversi talenti (attori, registi e sceneggiatori) dal grande al piccolo schermo.
In questo pilot (in America sarà in onda da marzo sul Sundance Channel) lo stile visivo inconfondibile della Campion, del resto, riempie gli occhi degli spettatori fin da subito, esplorando quel paesaggio che abbiamo imparato a conoscere nella sua versione fantastica nella saga de Il Signore degli anelli e che qui invece veste l’anima del thriller, senza perdere quel senso di sospensione e mistero che la Campion ha saputo regalare fin dai tempi di Picknick ad Hinging Rock. E qui del resto, come allora, c’è di mezzo la sparizione di una ragazzina, che prima (forse) ha tentato il suicidio nel lago del titolo e poi invece quasi certamente qualcuno ha deciso di far sparire. In cima alla lista dei sospetti, come da manuale, il padre, interpretato da Peter Mullan, un individuo pericoloso che vicino a quel lago gestisce i suoi misteriosi affari. E sempre lì nel frattempo si è stabilita una bizzarra congrega di donne “abusate” (dai compagni, dalla vita, in un caso dall’nsolito e geloso animale di casa…uno scimmione!), guidate da una sorta di guru, nei cui panni si cala una convincente Holly Hunter con tanto di chioma argentata. Ad indagare, una determinata poliziotta interpretata da Elisabeth Moss (Mad Men).
Tutto nei binari di un “convenzionale” benché ben girato thriller televisivo, quindi? Niente affatto, perchè da una parte indubbiamente la scrittura del primo episodio mostra di aver appreso la buona lezione di tanta ottima televisione degli ultimi anni (modelli non solo americani, ma anglosassoni, come da formato in 7 episodi, o scandinavi). L’accurata ma disinvolta presentazione di un numero notevole di personaggi, l’esplorazione progressiva, ma sempre incalzante di un mondo che può superficialmente apparirci familiare perché popolato da figure tipiche (come il poliziotto forse corrotto interpretato da David Wenham, che nella saga tolkieniana faceva la parte del coraggioso Faramir), e l’apertura discreta sul privato della protagonista, sono elementi di “progettazione” di una serialità che i due autori padroneggiano con evidente maestria.
Eppure c’è fin da subito qualcosa in più in questo affresco di una micro comunità, in attesa che l’incidente scatenante abbia luogo. C’è per esempio il motivo, caro alla Campion, del confronto tra un mondo maschile (e a volte maschilista) e una linea femminile e matriarcale che qui idealmente trovano fin da subito i loro rappresentanti/archetipi nelle figure del brutale Matt Micham (Mullan) e della misteriosa quanto concreta GJ (Hunter). E poi la sensazione di un destino, quello della detective Robin Griffin, che torna a visitare la protagonista in un momento di particolare fragilità (per la malattia della madre) risvegliando fantasmi ancestrali che dal lago del titolo potrebbero emergere da un momento all’altro, nè più nè meno dei mostri di Tolkien.
Qui sotto, il teaser trailer della miniserie:
http://youtu.be/DTpTKPsVfnA
La conferenza stampa
Il film è stato girato nel Sud della Nuova Zelanda, dove esiste veramente un posto chiamato Paradise. «Sembrerebbe il luogo della purezza e della fuga dal mondo, e invece ovviamente si scopre che non è così» dice Jane Campion, che alla conferenza stampa arriva con una chioma grigia che fa invidia alla sua protagonista. «È il genere di posto dove tendono a radunarsi i disadattati, proprio per questa idea di fine del mondo». Anche Holly Hunter, che con la Campion venti anni fa aveva conosciuto un’altra parte della Nuova Zelanda per Lezioni di piano, concorda su questo aspetto: «È stato bellissimo tornare ed esplorare un mondo nuovo. È un paesaggio apertissimo, ti disorienta, fuori dalle proporzioni di un essere umano. Mette in prospettiva le questioni umane, i problemi, i conflitti, un certo senso ha un effetto liberatorio».
Secondo lo sceneggiatore Gerard Lee (che conosce la regista sin dai tempi della scuola di cinema) lui e la Campion sono partiti proprio da questa idea di una piccola figura umana nella grandezza del paesaggio, con l’idea di esplorare la vita delle persone usando la detective story. La Campion era stata colpita da serie come The Killing, e curiosa che si potessero fare cose di questo genere in tv, su canali come HBO e BBC2, che ci fosse una ricerca di nuove voci. «E d’altra parte oggigiorno è più facile fare un progetto del genere che trovare soldi per film non commerciali – ha ammesso con franchezza -. Mi piace l’idea di vivere a lungo in un certo mondodice la regista magari non per venti episodi, ma per sei sì. Ho pensato e fatto questa storia come un film, un pezzo unico anche se non sarà mai visto in questo modo. È stato pensato come una sorta di romanzo».
Il lavoro sul set deve essere stato molto cordiale a giudicare dal clima della conferenza stampa, che era quello di un gruppo di amici. «Jane ti incoraggia a fare questo che senti, ad aggiungere e precisare il tuo ruolo, a definirlo mentre lo reciti – dice Peter Mullan, dal vero molto più amichevole del suo personaggio, libero di esplorare il testo per arricchirlo nel momento dell’azione -. Ci sono registi che ti stanno addosso per controllare quello che tu faccia esattamente quello che c’è scritto e tutto rischia di diventare come un teatro di marionette, ma invece così è vera poesia».
Holly Hunter, invece, la pensa in tutt’altro modo. Influenze sulla definizione del suo personaggio? «Assolutamente no, faccio quello che mi dicono» confessa ridendo. E a giudicare dalle reazioni e da quanto di lei si intuisce nel suo personaggio dobbiamo prenderla con ironia anche noi, in attesa che qualcuno ci porti in Italia la serie e il mistero del lago venga risolto.
Foto: Getty Images
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