Tutte le news dal Festival di Berlino 2013. Best Movie seguirà i film più importanti e vi racconterà le conferenze stampa più interessanti.
Il film
L’accoglienza riservata a Matt Damon a Berlino (applausi e incoraggiamento, domande a tutto campo, compreso una sul futuro aeroporto della città…) è stata di sicuro migliore di quella che ha ricevuto in America, dove Promised Land, inutile negarlo, non è andato proprio benissimo.
La storia ricorda quelle di certi film di denuncia degli anni Settanta: Steven Butler (Matt Damon) è il rappresentante di una grande multinazionale, la Global, specializzata nel fracking, un processo che permette di raggiungere i grandi giacimenti sotterranei di gas naturale presenti in profondità trivellando e spaccando l’involucro che li copre. Il suo compito è convincere gli abitanti di una piccola cittadina rurale della Pennsylvania a cedere i diritti dello sfruttamento dei giacimenti che stanno sotto i loro terreni in cambio di denaro contante subito e di una percentuale sui futuri guadagni. È un lavoro che Steven sa fare bene (ha appena ricevuto una promozione per questo), anche perché conosce in prima persona le difficoltà delle piccole comunità rurali, che sopravvivono solo grazie ai sussidi e che stanno morendo poco a poco. Lui stesso proviene da una di queste cittadine e suo nonno aveva una fattoria non molto diversa da quelle che ora gira battendo a ogni porta e “vendendo” il sogno di una vita nuova. Lo accompagna Sue (Frances McDormand), una donna di mezza età divorziata e un po’ disillusa per cui quello “è solo un lavoro” da portare a termine in fretta e senza discussioni. Questa volta però le cose si complicano, quando Franck (Hal Holbrook), insegnante di scienze locale e ingegnere in pensione, inizia a mettere in dubbio la sicurezza del procedimento che Steven sta proponendo. Di fronte alla sua esitazione la comunità decide di mettere la proposta ai voti di lì a due settimane. Non bastasse questo nel paese si presenta anche Dustin Noble (John Krasinski), il rappresentante di un piccolo gruppo ambientalista che non solo comincia a montare gli abitanti contro Steven e la Global mostrando gli effetti di una possibile contaminazione, ma riesce ad entrare nelle grazie di Alice (Rosemarie DeWitt), una bella insegnante del posto che anche a Steven piace parecchio. Steven, che è sempre riuscito a condurre le sue transazioni senza problemi e senza farsi troppe domande, si trova pian piano messo spalle al muro, mentre l’esito della votazione si fa sempre più incerto, almeno fino ad un improvviso colpo di scena. Il finale non va svelato per non rovinare il migliore colpo di scena di una storia che per il resto può sembrare un po’ troppo prevedibile e manichea: corporation cattive e imbroglione da un lato, brava gente e idealisti dall’altro, e nel mezzo un (anti)eroe facile da convincere.
La conferenza stampa
E queste, sembra, sono state anche le obiezioni che molti critici americani hanno fatto alla pellicola, come ha onestamente ammesso Matt Damon (qui non solo interprete, ma anche sceneggiatore, insieme al coprotagonista John Krasinski) ai giornalisti, che sono stati molto più feroci delle cattivissime corporation. «Alcuni pensando che avremmo fatto un certo tipo di film ci hanno attaccato preventivamente, ma poi hanno visto che il film non ha fatto molti soldi e hanno lasciato perdere. Ci hanno attaccato molto di più i critici!». Il problema, secondo Matt Damon, è che pensano che il film sia sul fracking (e in effetti, vien da dire, come dargli torto, visto che se ne parla tutto il tempo), mentre quello che lui e John (Krasinski) volevano fare era «un film sull’identità americana, sul dissolvimento del senso della comunità e su quello che comporta».
Mentre parla si vede che l’insuccesso gli pesa (avrebbe voluto anche dirigere il film, e ha ceduto la regia a Gus Van Sant solo per problemi di incompatibilità con altri progetti): «Io cerco di essere realista, di non vivere dentro una bolla, ma questo film io l’ho amato, e fatico a capire questo tipo di ricezione». Per farlo, dice, si è documentato a lungo, ha parlato con la gente dei luoghi dove il fracking è già una realtà e ha incorporato molto di quello che gli è stato detto nella sceneggiatura. L’argomento è di quelli che dividono, «mentre giravamo – ha detto – sono venute delle persone del posto che ci hanno detto di non parlare male del gas naturale perché gli aveva salvato la vita. E alcuni giorni dopo ne sono venute altre che dicevano esattamente il contrario». Sia lui sia Van Sant si sono ispirati a esperienze personali e ricordi di famiglia per creare i personaggi: «Steven – dice il regista – è un venditore, e come tale crede più nel vendere che in quello che vende. Mio padre era un venditore, come Steven, e diceva che per un venditore è importante concentrarsi su questo». Krasinski dice che l’idea del film è nata due anni fa: «Mio padre è cresciuto in una piccola comunità dove c’è questa idea di prendersi cura gli uni degli altri, che si sta perdendo. Era questo che volevamo discutere, e il potere delle persone quando si mettono insieme».
Alla fine, per alleggerire l’atmosfera, c’è stato tempo anche per le battute e per le domande su una possibile reunion con Ben Affleck, sodale di Matt Damon dai tempi di Will Hunting, e in questi giorni in lizza per l’Oscar. Sulle possibilità di vittoria dell’amico Damon non si è voluto pronunciare, ma è convinto che se lo meriti. I due hanno una piccola società di produzione insieme e, dopo il successo di Argo, pare che Affleck gli abbia telefonato dicendo: «A questo punto dobbiamo finalmente avere un ufficio!». Comunque vada agli Oscar, Matt Damon sarebbe felice di una reunion, altrimenti la minaccia è chiara: John Krasinski potrebbe fare la parte di Affleck e dirigere Argo 2!
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