Apre con il botto il sessantaquattresimo Festival di Berlino, con The Grand Budapest Hotel di Wes Anderson. Il regista, che qui era già stato con Le avventure acquatiche di Steve Zissou, per l’occasione si fa accompagnare da un paio dei suoi attori abituali, Edward Norton (capo scout in Moonrise Kingdom e qui ufficiale di polizia dall’impeccabile educazione mitteleuropea) e Bill Murray, in un memorabile cameo (guarda le foto dal red carpet).
Il film
La storia, fedele allo stile ilare e stralunato dell’autore, ha come protagonista Monsieur Gustave H., raffinato e magniloquente concierge dell’hotel del titolo, accompagnato nelle sue avventure da Zero, lobby boy immigrato in fuga dalla guerra (il giovanissimo Tony Revolori).
Siamo negli anni Trenta e Monsieur Gustave, oltre che dirigere la vita dell’hotel secondo standard che farebbero ottima concorrenza alla servitù di Downton Abbey, intrattiene relazioni non solo professionali con le facoltose e anziane frequentatrici dell’albergo. Una di queste, Madame D. (Tilda Swinton), muore in circostanze misteriose e gli lascia in eredità un quadro di enorme valore che M. Gustave procede immediatamente a sottrarre per evitare contestazioni. La cosa, però, manda su tutte le furie il figlio della defunta, Dmitri (Adrien Brody), che spedisce sulle sue tracce l’assassino psicopatico Jopling (Willem Dafoe in forma grandiosa).
Tra una fuga da una prigione di massima sicurezza (che fa il verso a tanti film sull’argomento ma è girata secondo uno stile impeccabile) e un inseguimento in slittino dalla cima di una montagna, il giovane Zero fa a tempo a innamorarsi della bella pasticciera Agatha (Saoirse Ronan), che prepara dolci sublimi e all’occorrenza li usa anche per contrabbandare lime in prigione…
A completare il quadro, un’invasione – in perfetto stile nazista – dell’immaginario stato dei Sudeti dove si svolge la storia e un provvidenziale intervento della società segreta dei concierge…
La trama prosegue su toni mirabolanti, cui si alternano momenti di improvvisa meditazione e altri di surreale ilarità (come quando un colpo di pistola scatena una sparatoria alla messicana tra gli occupanti ).
La conferenza stampa
Come al solito, Anderson è riuscito a radunare attorno ai protagonisti un incredibile cast di attori, pronti a seguirlo anche per camei di pochi secondi. Sarà anche per questo che la conferenza stampa che ha seguito la proiezione, affollatissima fin da un’ora prima dell’inizio, si è rivelata divertente quanto il film. A partire dal duetto tra il regista e Bill Murray; i due si sono messi a discutere sui tempi di riprese a cui Anderson costringe il suo collaboratori. Ai tempi de Il treno per Darjeeling, infatti, per girare solo due giorni aveva finito per passare un mese in India….
Grandi plausi naturalmente sono andati a Ralph Fiennes, l’unico, secondo Anderson, «capace di trasformare in una persona vera un personaggio incredibile come M. Gustave H., che cita poesia romantica, ha una passione per gli amori senili e non rinuncia al suo profumo preferito anche quando è nel mezzo di un’evasione».
Ha destato curiosità l’omaggio esplicito di Anderson allo scrittore Stefan Zweig come ispirazione del film. In realtà, ha ammesso il regista, la storia non è ispirata a nessuna opera dello scrittore. «Quello che ho voluto fare è stato ricreare la particolare atmosfera di alcune sue opere, rifacendole per il pubblico anglosassone, e americano in particolare, che non lo conosce per niente».
Naturalmente le ispirazioni del regista forse più cinefilo di Hollywood non finiscono qui e la troupe, pare, si è trovata durante le riprese a rivedere vecchi film, come Vogliamo vivere di Lubitsch, o The Good Fairy di William Weiler.
Per non parlare di Stanley Kubrick, dopo Shining una citazione d’obbligo quando si parla di hotel… Anche lui come Anderson qui, amava usare l’academy ratio, lo standard originale stabilito dalla Academy of Motion Picture Arts and Sciences alle origini del cinema. Anderson l’ha ripresa per enfatizzare il senso dell’epoca del film. E a chi gli domandava se tutta questa attenzione all’estero non rischiasse di schiacciare la storia, con quello sguardo un po’ stralunato che è il suo marchio di fabbrica ha risposto: «Il bello di fare un film è lavorare con gente fantastica, e quindi creare un mondo credibile in cui possano mostrare tutta la loro abilità è il minimo che si possa fare».
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