Festival di Berlino 2014, mostrato Nymphomaniac in versione integrale. Una sfida verbale, emotiva e culturale
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Festival di Berlino 2014, mostrato Nymphomaniac in versione integrale. Una sfida verbale, emotiva e culturale

Stellan Skarsgard, Christian Slater, Uma Thurman e Shia LaBeouf raccontano il film scandalo di Lars Von Trier

Festival di Berlino 2014, mostrato Nymphomaniac in versione integrale. Una sfida verbale, emotiva e culturale

Stellan Skarsgard, Christian Slater, Uma Thurman e Shia LaBeouf raccontano il film scandalo di Lars Von Trier

In Danimarca è uscito – con un tocco provocatorio che è in perfetta linea con l’intera operazione – già a Natale ed è passato anche per gli schermi del Sundance, per cui non era certo la sorpresa che ci si aspettava dalla proiezione del primo volume della Nymphomaniac di Lars Von Trier. Pure se in questo caso si tratta per la prima volta della “versione integrale”, di due ore e mezza, senza tagli alle numerose scene dal contenuto esplicito, che per certi versi verrebbe piuttosto da definire “anatomico”.

Le “memorie” della ninfomane del titolo (da adulta Charlotte Gainsbourg, da ragazzina la debuttante Stacy Martin), del resto, passano dalle esperienze infantili alle seduzioni multiple dell’adolescenza fino alla routine (logisticamente complessa) di 10 amanti dell’età “quasi adulta”  mostrando tutto ma proprio tutto fino a produrre non tanto assuefazione quanto desensibilizzazione. Che del resto si intona bene alla cornice del racconto che “viviseziona” la vicenda della protagonista Joe in un confronto che ci aspetteremmo drammatico, ma che invece – e questa sì è una sorpresa – diventa perfino umoristico, soprattutto grazie alla figura del professore amante della pesca alla mosca interpretato con consapevole goffaggine da Stellan Skarsgard. Un uomo dall’animo gentile che soccorre la Joe adulta, la cura e la nutre come un buon samaritano, e poi la lascia raccontare, desideroso di liberarla da quella vergogna e da quel senso di colpa che pure non vorrebbero e non dovrebbero avere nulla a che fare con la religione… Certo il modo di ragionare del professore che applica agli amplessi di Joe la serie di numeri di Fibonacci o legge le sue avventure con gli sconosciuti sui treni paragonandole con le tecniche di pesca alla mosca non è proprio convenzionale, ma va detto che senza di lui sarebbe dura digerire la versione allargata del primo volume di Von Trier. Nel film, comunque, non c’è solo sesso, ma anche, e non poteva essere diversamente, il racconto di una solitudine estrema, di un rapporto padre figlia idealizzato e doloroso (perché giunge fino alla morte di lui, nell’angoscia e nella sofferenza di un delirium che  non può essere consolato), il rifiuto e la ricerca di un amore che non si sa bene come collocare in questo universo di amplessi, tanto che (e così si chiude, non a caso, il primo volume) quando arriva non riesce a dare alcuna “soddisfazione”.

Come c’era da aspettarsi dal regista danese, la carne al fuoco è talmente tanta e l’approccio, nonostante tutto, talmente celebrale, che le domande da fare sarebbero tante. Senonché Von Trier si limita a farsi fotografare con una maglietta con la scritta persona non grata e poi se ne va lasciando che a rispondere siano i suoi attori e la sua produttrice… Tutti del regista danese dicono ogni bene: «Lavorare con Lars non è difficile, anzi, è più facile che con tanti altri registi» dichiara convinto Skarsgard, che di Von Trier è compagno d’avventure da tempo. «Mi diceva di prendermi tempo, che per uno come me abituato ad Hollywood è proprio un lusso» gli fa eco Christian Slater, che interpreta con grande sensibilità il ruolo del padre di Joe. Felicissima Uma Thurman, che nel film ha un’unica, geniale scena. È la moglie abbandonata di uno degli amanti di Joe che si presenta a casa della rivale con i tre figli piccoli e “interpreta” un monologo degno della scena di un teatro: «Non so cosa sia rimasto nel film che avete visto, ma per me erano 7/8 pagine di monologo, una scena che per come la girava Lars durava 20 minuti e per me come attrice è stata una sfida esaltante». Comprensibilmente caute e al ribasso le dichiarazioni della protagonista: «Mi sono divertita, se si può dire per un film così, e grazie a Lars, alla sua gentilezza, mi sono sempre sentita a mio agio, al punto che, essendo io al mio primo film, e non avendo per questo nulla da perdere, ero più preoccupata per gli aspetti tecnici che per le scene di sesso».

In questo clima di “garbo” per certi versi surreale c’è chi invece ha voluto a tutti costi farsi notare: Shia LaBeouf (che è Jerome, l’unico amore di Joe), di recente coinvolto in polemiche per un presunto plagio (vicenda in seguito alla quale ha dichiarato di volersi ritirare dalla vita pubblica) è intervenuto in versione “in incognito” (con occhiali scuri e cappellino) e alla prima domanda ha fatto una criptica dichiarazione su sardine e gabbiani (a quanto pare una citazione di una dichiarazione di Eric Cantona) per poi lasciare la sala. Qualche secondo di imbarazzo che non ha impedito ai giornalisti di tempestare attori e produttrice di altre domande. «Il film di Lars – ha spiegato Skarsgard – non vuole mandare messaggi». «Lars vuole creare una conversazione, una discussione interessante su temi controversi» ribadisce la Martin. Al di là della provocazione che un lavoro come questo (specie nella sue versione hard) certamente costituisce, al di là del fastidio (sospettiamo in ampia parte voluto) che le ripetute esibizioni di organi genitali (soprattutto maschili) finisce per causare, domina nel regista danese la volontà di obbligare lo spettatore a mettere in discussione il racconto che la protagonista fa di se stessa. «La parte di racconto tra me e Charlotte – due settimane chiusi in una stanza per girarla, anche se per me era importante sapere cosa succedeva nel resto della storia – non va presa in senso strettamente realistico. I nostri due personaggi sono due facce della personalità di Lars: quella nerd, che sarei io, e quella più complessa e sicuramente più interessante, interpretata da Charlotte». Una sfida verbale, emotiva, per certi versi culturale, se consideriamo il tripudio di citazioni e riferimenti che Von Trier semina nel suo film, che è per certi versi la parte più interessante e stimolante di questa pellicola… e questo anche se dei due non vediamo che pochi centimetri di pelle!

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