Quattro persone in cima a un palazzo dalla fama sinistra la notte di Capodanno. Quante possibilità ci sono che si trovino lì per la stessa ragione? Che è poi la più triste possibile: un tentativo di suicidio…La premessa è surreale, ma non per questo meno spassosa, visto che non di tragedia si tratta ma di un romanzo di Nick Hornby (lo stesso di About a boy, Febbre a 90 e Alta fedeltà), ora diventato un film per la regia di Pascal Chaumeil (il francese de Il truffa cuori e Un piano perfetto) e giunto a Berlino con tutto il cast al seguito. Pierce Brosnan nei panni dell’ex star della tv Martin Sharp (in disgrazia dopo una storiella con una minorenne), Toni Colette che è Maureen, madre single di un ragazzo gravemente handicappato, Aaron Paul (J.J., musicista in disgrazia) e Imogen Poots (Jess, infelice ed eccentrica figlia di un ministro conservatore). I quattro personaggi, naturalmente, rinunciano a portare a termine l’insano gesto e anzi stringono un patto che li impegna a non ammazzarsi almeno fino a San Valentino. Nelle settimane che li separano dal nuovo appuntamento “di verifica” le vite dei quattro aspiranti suicidi si intrecciano portando in luce le ragioni che li hanno portato in cima a quel palazzo, mentre tutti cercano in qualche modo di uscire dal vicolo cieco in cui si sono cacciati. Ma le esigenze e i modi di ognuno sono diversi e quindi, tra un’intervista televisiva e una vacanza a Tenerife, alla commedia si alterna il dramma, anche perché non tutti i problemi si possono risolvere con un semplice colpo di spugna…
Così, mentre i media usano e abusano delle storie dei quattro aspiranti suicidi, ritrovare la strada per la “normalità” non è facile per nessuno e anche il patto finisce per andare in crisi. Almeno finché un’emergenza (l’aggravarsi della condizioni del figlio di Maureen) li rimette tutti insieme, consapevoli che nonostante tutte le loro diversità, forse per loro, insieme, “rimandare l’insano gesto” è possibile.
«Molti pensavano che questo mio libro fosse “facile” da adattare» ha detto Hornby con una certa ironia. «Perché ha un’immagine forte e cinematografica all’inizio – i 4 che stanno per saltare di sotto – in realtà non è così; quella, per quanto potente, è un’immagine, una scena di 2 minuti e poi il resto è prima di tutto la back story, riuscire raccontare come sono arrivati lì, per non parlare dei monologhi interiori che vanno drammatizzati…».
Insomma, una vera sfida che se ha lasciato entusiasti i protagonisti («Hornby ha la capacità di creare dei personaggi che non puoi fare a meno di amare» ha detto Aaron Paul; «sono personaggi ricchi e interessanti, che vanno oltre le differenze di età, di salto generazionale» ha ribadito la Poots) appare però meno riuscita per gli spettatori. Nonostante lo sceneggiatore Jack Thorne abbia dichiarato che «la difficoltà vera non è stata inventare qualcosa di nuovo, ma immergersi nel mondo creato da Nick», l’impressione è che il difficilissimo equilibrio tra commedia umana e farsa si sia perso nel passaggio da carta stampata a pellicola.
L’alternanza dei toni del racconto, non sempre riuscita, la superficialità con cui talvolta vengono toccati argomenti anche ponderosi e una certa discontinuità nel racconto non sono bilanciate dall’indubbia professionalità di Chaumeil, che pure della storia dice di essersi subito innamorato «Pascal aveva una profonda connessione emotiva con la storia, tra un ciak e l’altro lo sentivamo ridere o piangere a seconda delle scene che giravamo» ha raccontato la Colette.
Il problema è forse che dello stesso disorientamento finisce per essere preda il pubblico: strappa un sorriso la messa alla berlina del circo mediatico che si innesca intorno ai quattro (il tutto promosso da Martin, che spera di riprendersi la popolarità di cui sente disperatamente la mancanza), mentre invece si esaurisce presto il conflitto tra la giovane Jess e il padre politico (interpretato da Sam Neil); una regia più che discreta e un look genericamente brillante non bastano a salvare la vicenda da un senso di artificiosità che sulla lunga distanza finisce per stancare. E le dichiarazioni di Hornby («è strano vedere i film tratti dai miei libri perché i personaggi una volta sullo schermo sono molto più belli e attraenti di come io li avevo immaginati») di fatto tradiscono involontariamente una parte del problema: non bastano belle facce e qualche trovata stilistica per fare un bel film.
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