Infinite distese di neve su per le montagne della Norvegia, insuperabili se non grazie all’opera degli spazzaneve. Bestioni come quelli che guida Nils (Stellan Skarsgård, al suo secondo film a Berlino dopo Nymphomaniac di Von Trier) per tenere libero un passo, attività solitaria e meritoria che gli ha guadagnato il titolo di cittadino dell’anno. Lui, svedese in terra norvegese (e per questo, non senza ironia, definito un perfetto esempio di immigrato integrato), parrebbe proprio la più pacifica delle persone, non fosse che suo figlio viene trovato morto… Dicono che sia overdose, ma Nils non è convinto e, scoperto che in realtà il ragazzo è stato vittima di una gang di spacciatori guidati dal crudele e nevrotico “Conte” (ottima interpretazione del giovane attore Pal Sverre Hagen, che evita con signorilità di cadere nella semplice caricatura), decide di vendicarsi. La scomparsa, uno dopo l’altro, dei membri della sua gang, però, provoca la reazione del Conte, che finisce per coinvolgere la rivale banda di spacciatori serbi in una faida che lascerà sul campo un bel mucchio di cadaveri.
Cadaveri che il film conteggia uno ad uno (è quello l’ordine di sparizione del titolo originale) con tanto di croce etnicamente corretta (classica per i norvegesi, ortodossa per i serbi, una stella di David per l’insospettabile ebreo e così via fino al simbolo della società umanista degli atei…), un tocco che ha strappato risate a ripetizione in sala (specie in occasione dello show down finale), ma che in realtà, con il suo effetto grottesco e inappropriato, è parte della riflessione niente affatto banale sulla violenza che il regista Moland porta avanti con questa pellicola. Un film impreziosito anche da una serie di dialoghi tra i vari criminali da far invidia a quelli dei film di Tarantino (uno tra tutti quello che collega in modo inderogabile il welfare state ai paesi, come la Norvegia, non benedetti dal sole e dal bel tempo…), oltre che da una divertente e divertita rappresentazione del microcosmo scandinavo, dove i poliziotti sono impreparati di fronte a un cadavere di un uomo torturato, ma in compenso anche un bidello è pronto a vedere informazioni al gangster più spietato.
Il genere, infatti, è chiaramente quello della commedia nera, a cui le location scandinave (tra montagne coperte di neve e di nebbia, città ipermoderne, ma anonime, e case superaccessoriate) danno un tocco particolare, trovando una chiave originale e riuscitissima per un confronto (all’ultimo sangue) tra la realtà di un paese civilizzato e l’irrompere degli istinti più elementari di fronte a una perdita e a un’ingiustizia.
«Il protagonista, Nils, è un uomo comune che viene colpito negli affetti più cari, cerca giustizia e non trovandola reagisce entrando in un mondo dove tutti ragionano in termini di violenza. È da questo che nasce un’escalation inarrestabile, perché le persone con cui entra a contatto Nils riescono a vedere l’altro solo come un nemico totalmente de-umanizzato e reagiscono di conseguenza». A chi gli chiede se la sua sia una fascinazione per la violenza (anche il film precedente di Moland, A somewhat gentle Man sempre presentato a Berlino e sempre con Skarsgard come protagonista era ad alto tasso di sangue) il regista spiega che la violenza tout court non lo interessa: «Quello che voglio è esplorare la reazione dell’essere umano a certe circostanze; c’è anche, ovviamente, il tema, o forse dovrei dire, il dilemma di una società come quella norvegese, che oggi deve confrontarsi con l’altro decidendo come accogliere, o rifiutare (come fa il paranoico Conte in termini estremi) chi è diverso da lui».
A rendere possibile l’operazione un cast perfetto, a partire da Skarsgard nella parte dell’uomo tranquillo che fa delle distese innevate e del fido spazzaneve la sua arma segreta. «La cosa assurda è che io in realtà non amo per niente il freddo – e vi assicuro che lì faceva molto freddo – anzi, è solo Moland che ogni 3 o 4 anni mi tira fuori dal calduccio di casa mia e mi sbatte in questi posti tremendi a fare un film» ha raccontato l’attore che poi, però, tornando ad essere serio, ha lodato la grande disponibilità del regista a lavorare con gli attori per definire i personaggi. «Quello tra attori e regista per me è un processo dialettico, conferma Moland, non c’è un premio per chi realizza la sceneggiatura così come è scritta e del resto solo uno stupido non chiederebbe a degli attori di talento di dare qualcosa di loro ai personaggi». Del resto come dargli torto quando si ha a disposizione un mostro sacro come Bruno Ganz per fare la parte del patriarca serbo: «C’è gente che ancora pensa a me solo come quello che ha fatto Il cielo sopra Berlino, ma io sono un attore e quindi fortunatamente posso fare cose diverse…come questo ruolo per cui ho dovuto studiare per parlare in serbo…e in norvegese».
Il pot pourri linguistico (norvegese, svedese, danese , e poi serbo e inglese), per altro, è proprio una delle chiavi più riuscite del film, perché potenzia i fraintendimenti e le differenze culturali facendo esplodere i conflitti del film. Una pellicola brillante e anche molto intelligente che speriamo trovi una distribuzione anche in Italia.
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