Nei boschi dell’Indiana, fotografati con un poetico bianco e nero e incorniciati da una sinfonia musicale imponente in cui si riconoscono, tra gli altri, i temi dei più noti inni religiosi americani. Così si forma, tra le braccia di una natura meravigliosa ma dura, e grazie alle cure di due donne eccezionali (la madre e la matrigna, capaci di intuire l’unicità del piccolo Abramo Lincoln), lo spirito di colui che guiderà gli Stati Uniti d’America verso il loro destino, fino all’abolizione della schiavitù. La strada che il regista (e sceneggiatore) A.J. Edwards sceglie per il suo personale omaggio al “padre della Patria” per eccellenza tradisce l’influenza del suo produttore, Terence Malick. «Per me la sua amicizia è stata importantissima – dice il regista – insieme abbiamo montato The Tree of Life. All’epoca Malick stava girando i suoi due film contemporaneamente ma era sempre a portata di telefono».
La macchina da presa sempre in movimento, che sta sotto e attorno ai personaggi, per coglierne le espressioni che parlano molto più delle (poche) parole che pronunciano; le aperture sul paesaggio bagnato dalla pioggia, il soffermarsi sui dettagli che diventano l’occasione di una riflessione e la promessa di una sensibilità in formazione. Non è certo il classico biopic questo, quanto una specie di documentario che si costruisce più per quadri e impressioni, grazie anche alla bravura del giovane interprete di Lincoln, scelto dopo un anno di provini e oltre 1000 interviste tra i ragazzi del sud est del Kentucky. «Avevamo bisogno di un ragazzo con l´accento giusto: abbiamo cercato nelle scuole e spedito video al regista finchè non lo abbiamo trovato» afferma Malick.
Accanto ai giovani attori non professionisti, un gruppo di protagonisti disposti a liberarsi dell’approccio classico per “diventare” quelle persone: Brit Marling, la dolce madre, Diane Kruger, la sensibile matrigna, Wes Bentley, l’insegnante, e Jason Clarke (qualcuno lo ricorderà come indurito collega di Jessica Chastain in Zero Dark Thirty) nei panni del padre, un uomo duro, ma egualmente importante nel definire il carattere di quel figlio di cui fatica ad accettae l’eccezionalità.
Il risultato è sorprendente e ipnotico e nasce da un metodo di lavoro particolarissimo, che a Malick deve molto. «Non è uno script diverso dagli altri, è solo che è girato in modo diverso. Edwards è molto libero, la telecamera si muove sempre e come attore ti costringe a essere nel momento, a diventare il più possibile quella persona. Non è che ci sono tanti ciak, devi lavorare subito. All’inizio è uno shock, ma poi diventi libero, giochi, proprio come un bambino. E questo significa che magari per una scena di una camminata nei boschi ci potevano volere anche quattro ore…» ha raccontato Diane Kruger.
«Non c´è una messa in scena tradizionale è più come un documentario, come se stessimo scoprendo quelle cose in quel momento» ammette il regista. «Ho voluto girarlo in bianco e nero per evitare di romanticizzare la vita della frontiera come nei film Disney, che per altro amo molto…».
Il materiale sugli anni giovanili di Lincoln (che in Indiana visse tra i 7 e i 21 anni) in realtà non è moltissimo, lui stesso non amava parlare di quegli anni. Sono anni di sofferenza, di morte, ma anche di speranza. Spiega Edwards: «Quello che volevo mostrare con questo film è come viene formata la sua grandezza dalle persone che ha avuto intorno, le due madri, il padre, l´insegnante. Quelle due madri attraverso la loro bontà lo hanno portato all´immortalità».
Nonostante la scarsità del materiale a disposizione, sono numerosi gli elementi documentati presenti nel film: per esempio i Lincoln erano battisti e Thomas Lincoln, il padre del futuro presidente, costruì insieme ai suoi figli la piccola chiesa della comunità. «Lincoln per tutta la vita ha citato molto la Bibbia, si sa che memorizzava i sermoni e poi li ripeteva ai suoi amici. Era un grande imitatore».
Una delle poche scene inventate della storia è quella in cui Lincoln ragazzino, in viaggio da solo, incontra un gruppo di schiavi trasportati in catene attraverso il bosco e sembra suggerire il seme della sua futura azione antischiavista da presidente: «È uno dei pochi punti in cui ci siamo allontanati dal documentario – ammette il regista -. Non ci sono documenti che attestino che Lincoln abbia visto degli schiavi così da bambino, anche se non è impossibile. Li vide certamente da giovane adulto e può averli visti nel Kentucky».
Il commento in voice over che accompagna la storia ha origini precise: «Non l’abbiamo scritta noi, si basa tutto su un´intervista fatta nel 1890 al cugino di Lincoln che vediamo anche in scena. Non si sapeva molto della gente di quella zona perché erano poveri, e quindi non esistono nemmeno molte fotografie».
La musica gioca un ruolo importante, si tratta nella quasi totalità di pezzi classici del XX e XIX secolo, con poca musica creata appositamente: «Volevo che la musica desse un senso di speranza e di destino, che suggerisse che c’era qualcosa che lo chiamava».
«Non credo che ci sia un altro presidente americano comparabile a Lincoln, era una persona larger than life, che ha creato uno standard per tutti gli altri. Ma il film dovrebbe essere anche uno specchio per noi stessi, i nostri genitori sono davvero i nostri better angels» è il pensiero di Edwards, a cui fa eco quello di Diane Kruger: «Lincoln è la dimostrazione di quanto contino genitori e insegnanti che ti insegnano che da qualunque situazione tu parta puoi cambiare il mondo».
Sotto, il trailer di The Better Angels:
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