Festival di Berlino 2014: Yves Saint Laurent esplora il mondo dell’alta moda attraverso una delle sue figure più iconiche
telegram

Festival di Berlino 2014: Yves Saint Laurent esplora il mondo dell’alta moda attraverso una delle sue figure più iconiche

Il film di Jalil Lespert con protagonista Pierre Niney conquista per la sua semplicità e per il suo essere accessibile a un grande pubblico trasversale

Festival di Berlino 2014: Yves Saint Laurent esplora il mondo dell’alta moda attraverso una delle sue figure più iconiche

Il film di Jalil Lespert con protagonista Pierre Niney conquista per la sua semplicità e per il suo essere accessibile a un grande pubblico trasversale

Timido e sregolato, fragile e aggressivo. Si muove tra gli estremi l’Yves Saint Laurent disegnato dalla regia di Jalil Lespert, ma soprattutto incarnato con totale immedesimazione da Pierre Niney. Il giovane attore, che in Italia conosciamo per la commedia 20 anni di meno, ma in Francia è già famosissimo (e si fregia del titolo di membro della Comédie Française) riproduce con impressionante autenticità la fisicità dello stilista, ne trasmette gli umori imprevedibili e il talento sull’arco di vent’anni. Oltre a raccontare un’epoca attraverso gli abiti disegnati da Saint Laurent, le sue modelle, i suoi amici, le feste e i viaggio, in un susseguirsi di immagini e colori che esplorano il mondo dell’alta moda attraverso una delle sue figure più iconiche.

Yves Mathieu Saint Laurent, famiglia di francesi residenti in Algeria, è un giovanissimo e geniale creatore che conosciamo quando è già il primo assistente di Christian Dior, a cui viene chiamato a succedere alla morte del maestro. È in questo momento decisivo che avviene l’incontro di una vita, quello con Pierre Bergé, che di Saint Laurant sarà il partner (sentimentale e professionale) di una vita. Due personalità opposte e forse proprio per questo complementari per decenni. Il loro sodalizio, frutto di un colpo di fulmine, si cementa in un momento di particolare difficoltà per Yves, che di fronte alla chiamata alle armi (per la guerra in Algeria) subisce un crollo psicologico inaspettato da cui sarà proprio Pierre, con la sua determinazione e intraprendenza (fa causa alla maison Dior che ha licenziato Yves e vince), a farlo uscire. Nasce così la casa di moda di Saint Laurent, destinata a lasciare un segno indelebile nell’alta moda, prima con la “purezza” e il rigore dello stile e poi con la trasgressione:  memorabile la collezione Liberation, con le prime donne in abiti maschili e una confusione di identità e genere che spiazzarano (e conquistarono) la Francia e il mondo. Ma l’ispirazione di Yves (legata a numerose muse, che il film racconta in successione attraverso i volti di attrici bellissime, Charlotte Le Bon, Laura Smet, Marie De Villepin) è per lui anche una forma di dipendenza e schiavitù e così vediamo che, sotto gli occhi impotenti di Pierre, il geniale stilista rischia di perdersi in un turbine di trasgressione, droghe e piaceri che servivano a placare un’inquietudine che rasentava la malattia.

Il regista Jalil Lespert ha presentato il film come “una grande storia d’amore, un biopic che vuole da una parte seguire i codici di questo genere – e da qui la ricerca di una fedeltà estrema anche alla fisicità dei personaggi – dall’altra indagare fino in fondo le pieghe di un rapporto tra persone molto diverse che si fonde con un discorso sulla creazione e l’ispirazione. Ho voluto fare un film umano, semplice, e per questo accessibile a un grande pubblico trasversale”. Quello francese, se non altro, è stato conquistato (il film ha già totalizzato più di un milione di ingressi) e il film si è già assicurato una distribuzione internazionale, fino negli Usa, dove sarà sotto l’ala protettrice dei potenti fratelli Weinstein. Che il soggetto sia caldo lo dimostra l’esistenza di un progetto “rivale” che sarà forse a Cannes e che vede protagonista Gaspard Ulliel.

Questo Saint Laurent ha però avuto il vantaggio di un sostengo totale da parte della fondazione Bergé- Saint Laurent e quindi la possibilità di utilizzare abiti, disegni e location direttamente legate allo stilista, assicurando al progetto un look unico e un senso di autenticità indiscutibili.  Che si deve però soprattutto alle interpretazioni. Ninney è Yves così come Gallienne è Bergé, quest’ultimo particolarmente efficace nel dare corpo a un personaggio originale nel suo essere “pigmalione” del genio, tiranno all’occorrenza, garanzia di un equilibrio esistenziale difficile da mantenere in un mondo di eccessi e follie come quello che il film descrive. «Non ho preso alcuna distanza nel raccontare Bergè – che per altro è vivo e vegeto – ho voluto rispettare il suo amore e il suo dolore per la perdita di Yves» ha spiegato Gallienne «per farlo, più che imitarlo, mi sono immerso nelle lettere che Pierre e Yves si sono scambiati negli anni». Lettere che sono la testimonianza di una relazione complessa (non mancano i tradimenti e i litigi), ma duratura  destinata a lasciare il segno non solo nei due uomini, ma anche nella storia della moda francese e mondiale.

Leggi anche Festival di Berlino 2014: benvenuti al Grand Hotel delle meraviglie di Wes Anderson

© RIPRODUZIONE RISERVATA