Tratto, come già I nostri ragazzi di Ivano De Matteo dal testo di Herman Koch, il nuovo film di Oren Moverman (The Messenger, Time out of mind) è un racconto sospeso a metà tra dramma e thriller, in cui i quattro interpreti principali (Richard Gere, Steve Coogan, Laura Linney e Rebecca Hall) si rubano di volta in volta la scena in uno scontro in cui le recriminazioni passate e un segreto più recente si intrecciano inesorabilmente.
L’azione è scandita in capitoli che corrispondono alle diverse portate, «che sono quelle della storia, non quelle della cena» spiega il regista, che ai suoi attori (in particolare Gere, con cui aveva già lavorato in Time out of mind) ha detto di non leggere il testo di Koch perché, come in effetti accade, intendeva dare al racconto una direzione diversa.
Nella sua versione, quindi, la back story di Paul (Coogan) e di suo fratello Stan (Gere), un politico in corsa per il governatorato, diventa fondamentale per decifrare i conflitti del presente, legati ad un crimine commesso dai figli delle due coppie, che però per il momento non è venuto alla luce… La decisione sul futuro dei due adolescenti, ovviamente, è l’occasione per mettere in discussione il passato, che è fatto di un’acuta sofferenza mentale ed emotiva da parte di Paul, della malattia quasi fatale di sua moglie Claire (Linney), così come dei sacrifici che Kate (Hall), la seconda moglie di Stan, ritiene di aver fatto per il futuro politico del consorte…
Un racconto centrifugo, in cui talvolta si fatica a orientarsi e dare gerarchia ai drammi che i lunghi dialoghi mettono a fuoco.
«È un film fatto di dialoghi e la domanda che mi sono fatto quando sono entrato nel progetto era sul come renderlo dinamico nonostante questo…. anche se alla fine non è stato un problema, anche grazie ai meravigliosi partner che ho trovato» dice Coogan.
«Avevo già fatto un film con Oren e ognuno ha un taglio ben preciso, organico, che nasce da una sua visione e con un processo organico porta al risultato; c’è una apertura creativa che nasce dall’atmosfera che Oren sa creare» ha ribadito Gere, il cui personaggio, inizialmente quasi defilato rispetto all’irruenza di quello di Coogan, esce soprattutto nella seconda parte, acquistando autorevolezza e centralità.
Un po’ come accade anche a quello di Laura Linney «una donna che non è consciamente malata di mente, ma è inesorabilmente legata a una certa visione del mondo e delle cose, un sistema di valori che non è disposta a mettere in discussione.»
L’esasperata raffinatezza del luogo in cui la cena del titolo si svolge si contrappone alle immagini del crimine commesso dai figli dei quattro (anche se i personaggi dei ragazzi rimangono sostanzialmente in secondo piano), così come ai ricordi della vita di Paul e Stan, legati da un rapporto squilibrato in cui Paul tira fuori tutta la sua rabbia e Stan un’inattesa capacità di prendersi cura del fratello.
Quella di Moverman è prima di tutto un’esplorazione di caratteri, che spinge fino al limite la sfida di mettere in scena un litigio lungo due ore, uno scontro senza vincitori né vinti, destinato a mettere a nudo le miserie di ognuno.
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