Festival di Cannes 2019: la recensione di The Lighthouse, l'horror con Pattinson e Dafoe
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Festival di Cannes 2019: la recensione di The Lighthouse, l’horror con Pattinson e Dafoe

Presentato alla Quinzaine, tutto girato in bianco e nero e in 4:3, il film è diretto dallo stesso regista di The VVitch, Robert Eggers

Festival di Cannes 2019: la recensione di The Lighthouse, l’horror con Pattinson e Dafoe

Presentato alla Quinzaine, tutto girato in bianco e nero e in 4:3, il film è diretto dallo stesso regista di The VVitch, Robert Eggers

The Lighthouse con Pattinson e Dafoe

Robert Eggers ha evidentemente un’idea di cinema abbastanza precisa, nonostante sia solo al secondo lungometraggio. Come The VVitch, anche The Lighthouse – in selezione ufficiale alla Quinzaine – è un period drama soprannaturale con una scrittura molto fitta, tutto incentrato sulla relazione tra i protagonisti e in cui l’elemento horror resta sottinteso per la maggior parte del minutaggio. Con in più, e questa è la vera novità, una vena comica grottesca che torna periodicamente nella storia.

Stavolta Eggers sceglie un formato diverso, 4:3, e di girare in bianco e nero, una formula che abbinata al gioco di specchi tra i due personaggi e alla location isolata – un’isoletta sperduta e dominata da un faro – suggerisce atmosfere bergmaniane (ovviamente Persona). Ma c’è anche chi sta tirando in ballo Tarkovskij per il mistero che il territorio brullo dell’isola evoca quasi ad ogni inquadratura.

Di sicuro nella solita separazione festivaliera tra autori che propongono soprattutto un’idea politica (come Loach) e autori che impongono uno stile, estraneo al mondo e interno al cinema (come Refn), Eggers è orgoglioso di far parte di questa seconda schiera. Costruisce da zero, su un pezzo di roccia isolato in mare aperto, un faro e qualche baracca, poi ci pianta due personaggi esemplari e lascia che la claustrofobia faccia il resto: echi di mitologie marine (le sirene, il tritone), elementi naturali (il vento, la pioggia, i gabbiani) e conflitti di carattere ed esperienza, si misurano attraverso la progressiva discesa nella paranoia del giovane tuttofare (Robert Pattinson), mentre il vecchio guardiano (Willem Dafoe) annega nel vino e nelle sue filastrocche l’ansia, ma non perde mai il senso delle cose.

Il climax è da manuale (e un pochino stucchevole), ma la messa in scena potente e i dialoghi scritti come pezzi di bravura, con una predilezione per il monologo/scioglilingua (lingua d’epoca), garantiscono comunque la stessa solidità un po’ teatrale di The VVitch, esaltando il lavoro degli attori, per altro costretti a performance fisiche brutali in condizioni di set estreme (Pattinson ha raccontato per esempio di aver avuto paura più di una volta di farsi male cadendo sulle rocce taglienti).

Non un esito sorprendente, ma soddisferà i fan del regista.

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