Jodie Foster è stata la grande protagonista delle prime battute del Festival di Cannes 2021. L’attrice americana, dopo aver ricevuto la Palma d’onore dalle mani del regista e amico Pedro Almodóvar nel corso della cerimonia di apertura (trovate tutte le foto della serata a corredo dell’articolo), ha tenuto oggi una piccola masterclass collocata nella sezione Rendez-Vous, che permette al pubblico del festival di dialogare dal vivo con grandi nomi del mondo del cinema. Un’occasione per raccontarsi a ruota libera, e anche per fare il punto sul momento in cui si trova la sua vita dal punto di vista professionale e umano.
L’attrice arrivò sulla Croisette giovanissima, ancora tredicenne, per accompagnare sulla Montée des Marches Taxi Driver di Martin Scorsese, il film che nel 1976 contribuì a rivelarne definitivamente al mondo il talento sconfinato e l’acutissima sensibilità nell’affrontare ruoli carichi di sfide. Non è difficile rivedere nella Jodie Foster 58enne di oggi – regista, produttrice, attivista dei diritti LGBT – la brillantezza curiosa e irriverente di quell’adolescente, che si mostrava nella vetrina più prestigiosa del cinema mondiale con la massima naturalezza.
L’incontro con il pubblico, tenutosi nella sala Buñuel, è ovviamente da tutto esaurito e a rompere il ghiaccio ci pensa lei stessa, che parlerà per tutta la durata dell’evento in un francese impeccabile che ieri sera ha suscitato l’invidia divertita di Spike Lee. A cominciare da un aneddoto proprio su quella storica prima volta a Cannes cui accennavamo, a metà strada tra il macabro e l’esilarante. «Ero molto eccitata di arrivare a Cannes, ma mentre mi trovavo all’aeroporto il mio cagnolino Napoleon è caduto dalle scale ed è morto tra le mie braccia. Non volevo uscire più da lì, ma mia madre mi disse: “Devi farlo!”. Lo so, è una storia tristissima e infatti non la racconto tanto spesso! Poi Taxi Driver vinse la Palma d’oro e fu tutto bellissimo, ma il mio Yorkshire terrier era morto e non potevo non essere triste. Sono quelle situazioni che somigliano molto al cinema, sanno essere tragiche e comiche allo stesso tempo. E infatti sempre stressante essere un attore, stare con tanta gente intorno, è un po’ come un soldato in guerra…».
Subito dopo c’è spazio per un altro momento sorprendente: si scopre che in platea c’è il professore di francese dell’attrice e lei va subito a salutarlo con calore e tra l’ilarità generale, ricordando i tempi in cui frequentò il liceo transalpino di Los Angeles e facendo anche l’imitazione del professore e di ciò che le diceva all’epoca («Foster, il faut se taire», ovvero «Foster, bisogna che stai zitta»). Rotti gli indugi e bando ai siparietti inaspettati e alle storie tristissime, le prime battute sono dedicate ovviamente proprio a Taxi Driver. «Fu un momento di trasformazione – dice Foster – quel film uscì in un momento d’oro per il cinema americano. Con Martin avevo già girato Alice non abita più qui, ma è quello il mio vero esordio. Gli avvocati californiani pensavano che fossi troppo giovane per interpretare una prostituta, mi fecero dei test psicologici».
L’attrice, sposata con l’attrice Alexandra Hedison, ha vinto di recente un Golden Globe per la sua interpretazione in The Mauritanian ed è uno dei membri più in vista della Hollywood liberal. «Mai come oggi a Hollywood c’è l’occasione di farsi valere – spiega a chi gli chiede del momento che sta vivendo la Mecca del cinema – dopo anni di lotte, possiamo vedere rappresentati tutti, raccontare nuove storie. Le prospettive per le donne sono diverse e io posso senz’altro dirlo, visto che ho iniziato a recitare a tre anni. Quando ho iniziato io le donne non erano certo tante nell’industria del cinema, a parte i lavori di reparto per costumi e make-up. Ora ci sono produttrici, registe e i progressi sono visibili, in Europa per esempio ci sono tantissime cineaste donne, molto più che negli Stati Uniti. Siamo pronte a prenderci dei rischi anche perché l’uguaglianza è lontana dall’essersi affermata, se sei una donna quando dirigi devi sempre lottare per affermare il tuo ruolo. Mia madre voleva che continuassi solo a recitare, quando ho deciso di fare anche la regista e la produttrice ero fiera di non averla ascoltata. Lei pensava che dopo l’Oscar fosse una pessima scelta, che recitando soltanto avrei fatto più soldi».
Jodie Foster come regista ha avuto una carriera decisamente eclettica ed eterogenea (oltre che difficilmente inquadrabile), spaziando da film come Il mio piccolo genio a Money Monster – L’altra faccia del denaro e Mr. Beaver, senza dimenticare la regia per serie cruciali come House of Cards, Orange is the New Black e Black Mirror. «Col tempo ho imparato che mi piace lavorare più lentamente e prendermi del tempo per la mia vita personale – chiosa lei – Se lavoro velocemente le persone che dirigo non hanno il tempo di pensare che quello che dico sia ridicolo, e recitano meglio! Nel momento in cui dici azione deve essere tutto pronto per andare sullo schermo. Il cinema è emozione, non solo engagement. Non è come leggere i giornali o parlare di sociologia o politica, è una questione di sentimento, sempre».
Impossibile non menzionare, nel corso della conversazione, i film che le valsero i suoi due Oscar: Sotto accusa, del 1989, e Il silenzio degli innocenti di Jonathan Demme, lungometraggio che nel 1991 consegnò la sua interpretazione di Clarence Starling alla storia del cinema. Sul primo l’interprete dice: «Fu un film importante sulle donne inascoltate del sistema giudiziario americano. Affrontava il tema dello stupro e a quel tempo era complicato anche solo pensare che venisse prodotto un film su un argomento del genere».
Più articolate le riflessioni sul film con Anthony Hopkins e sul rapporto con l’attore: «Sapevamo di fare qualcosa di importante, ma Jonathan aveva girato anche delle scene comiche e io temevo che il film non avrebbe affrontato con serietà la questione. In fondo era un film che parlava di donne assassinate da un uomo terribile. Anthony fu gentilissimo, non è solo un grande attore ma anche un uomo molto garbato. La prima volta che abbiamo letto il copione insieme al tavolo lui entrò subito nel personaggio e io ero letteralmente terrorizzata, tanto che sono scappata. Sul set non c’era mai il tempo di parlare, ma alla fine della lavorazione gli confidato la mia paura e anche lui mi ha detto “Io ho avuto paura di te”. Alla fine ci siamo abbracciati, e siamo diventati amici».
In chiusura Jodie Foster ha regalato al pubblico di Cannes anche un cenno a un progetto che sogna da tempo, ovvero un film sulla cineasta tedesca Leni Riefenstahl, voce più in vista della Germania hitleriana sul fronte della propaganda per immagini, e speso parole al miele per i colleghi Pedro Almodóvar («il primo regista femminista del cinema») e Spike Lee («Il suo cinema è per il mondo black una bollente fonte di ispirazione»).
Foto di copertina: Getty (VALERY HACHE/AFP via Getty Images)
© RIPRODUZIONE RISERVATA