Festival di Roma 2012, Carlo Lucarelli: «Ecco la mia Shutter Island»
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Festival di Roma 2012, Carlo Lucarelli: «Ecco la mia Shutter Island»

Nella sezione del concorso dedicata ai film italiani, il romanziere ha presentato il suo esordio alla regia, L'isola dell'angelo caduto

Festival di Roma 2012, Carlo Lucarelli: «Ecco la mia Shutter Island»

Nella sezione del concorso dedicata ai film italiani, il romanziere ha presentato il suo esordio alla regia, L'isola dell'angelo caduto

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Un film riuscito a metà, sorretto da una storia affascinante che però collassa sul finale e da una regia ipertrofica che mischia fino all’eccesso stili e registri. Questo è, in poche parole, L’isola dell’angelo caduto, esordio alla regia cinematografica per il romanziere (e presentatore tv, e sceneggiatore, e criminologo) Carlo Lucarelli, presentato in concorso nella sezione Prospettive Italia del Festival di Roma. Chi ha già letto il romanzo da cui il film è tratto, pubblicato nel 1999 da Einaudi, sa già cosa aspettarsi: un thriller sullo sfondo storico dell’ascesa del fascismo in Italia (lo spunto è l’omicidio Matteotti e il conseguente discorso di Mussolini alla Camera), ambientato su «un’isola che non esiste» secondo Lucarelli. Protagonista è un giovane commissario di polizia (Giampaolo Morelli), appena trasferito sull’isola insieme alla moglie (Sara Sartini) e “accolto” dall’omicidio di un miliziano fascista, di stanza sull’isola insieme a uno squadrone di camerati per gestire una prigione per rifugiati politici. La morte della camicia nera mette il commissario di fronte a una scelta: accettare le giustificazioni degli altri camerati («È caduto nel dirupo perché era ubriaco») o indagare e scoprire la verità, in nome dello Stato?

«Il film, come anche il romanzo, è una grande metafora di molte cose, ma il fulcro di tutto è il tema del bivio: quello di fronte a cui si trovò l’Italia, che doveva decidere se ribellarsi all’ascesa del fascismo oppure accontentarsi dello status quo, e quello del mio commissario. L’Italia come Paese fa spesso scelte comode piuttosto che rivoluzionarie, e la storia del film parla proprio di questo». Lontano però da tentazioni storiografiche, L’isola dell’angelo caduto è un film surreale, delirante, che cita Mario Bava e Scorsese e inseriesce nella trama messe nere, riti dionisiaci, un vento che non smette mai di soffiare e persino il Diavolo in persona; una messa in scena «volutamente esagerata, sopra le righe, piena di immagini pittoriche o fumettistiche, che comincia in modo “normale” e pian piano diventa sempre più strano. Ecco perché non l’abbiamo girato su un’isola vera, nonostante io all’inizio avessi pensato a Ponza o Ventotene: la mia isola non esiste, ha un tempo tutto suo, è esagerata e delirante».

Fin troppo, viene da dire, visto che il film è punteggiato di sequenze oniriche e/o sperimentali piuttosto gratuite, non certo mal girate ma sicuramente mal accostate tra loro, al punto che a tratti si fa fatica a seguire davvero lo svolgersi della trama. Eppure, secondo Lucarelli, la scelta è voluta: «Questo è il film che volevo fare, spiazzante e onirico. Volevo che c’entrasse il diavolo, la violenza animale dei fascisti, ma soprattutto che si capisse che tutto accade su un’isola che ha regole proprie, e se qualcosa non torna o non è chiaro la colpa non è mia ma dell’isola stessa». L’impressione che abbiamo, viste queste parole di Lucarelli, è che il regista si sia fatto prendere la mano dalle infinite possibilità offerte dal cinema, in termini di colonna sonora, effetti speciali, montaggio. E forse che abbia puntato troppo in alto nel prendere i riferimenti: «La mia ispirazione massima, anche dal punto di vista tecnico, è stato Shutter Island: anche lui ha ricreato con gli effetti speciali un’isola che non esiste, per poterci fare quello che vuole e costruirla esattamente come ce l’aveva in testa. Ma non c’è solo Scorsese, tutto il film è una sintesi di diversi spunti e stimoli che ho raccolto, consciamente e inconsciamente: per esempio, il modello che ho usato per il commissario è il protagonista del film La villeggiatura di Marco Leto, interpretato da Adolfo Celi».

Di sicuro non è l’ambizione che manca a Lucarelli, che ha anche l’onestà intellettuale di rispondere a una domanda provocatoria («A me il film è parso brutto, lei è sicuro che il risultato finale sia quello che voleva?») con aplomb e umiltà: «Come regista io non sono nessuno, mi sono fatto aiutare da tutta la troupe e il film è il risultato di un lavoro di squadra. Ma l’idea di fondo di fare un film sopra le righe, un pastiche di influenze, è mia: magari è stato un errore, ma è stato un errore consapevole».

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