Uno stregone con un occhio di vetro si avvicina al ragazzo, decisamente sovrappeso, adagiato su un grosso blocco di roccia. Gli svuota le orbite, e ne mangia il contenuto. Gli strappa la lingua, e la ingoia. Dopodiché al malcapitato vengono mozzate le braccia e le gambe, infilata la testa su di un palo, e messo il resto sotto sale, per essere diviso dalla tribù in un secondo momento. Le anziane del villaggio, depositarie delle ricette, insegnano la cottura alle più giovani, mentre i ragazzini gironzolano affamati attorno alla pira.
Non è che le prelibatezze gore di The Green Inferno – il film con cui Eli Roth torna al Festival che nel 2002 fece conoscere al mondo Cabin Fever, aprendogli le porte di Hollywood – si limitino a questo, ma la sequenza in questione è il piatto forte. La storia è invece quella di un gruppo di attivisti per la salvaguardia della foresta amazzonica, che – dopo un’azione di sabotaggio – si schianta in mezzo alla vegetazione in seguito a un guasto aereo. Qui i ragazzi vengono recuperati da un gruppo di indigeni cannibali con il corpo completamente dipinto di rosso, che li stipa tutti in una gabbia a mo’ di riserva alimentare. Alcuni vengono pappati subito, altri cercano di scappare con scarsi risultati, altri ancora si suicidano per disperazione con un coccio di ceramica. Di più non diciamo (tranne che – stranamente per un film VM18 – no boobs).
Diamo invece qualche coordinata per capire di che cosa parliamo esattamente: basso budget (il film è girato tutto di giorno, per risparmiare sulle luci, e la direzione della fotografia è – diciamo così – minima), intenti parodici (c’è una scena in cui uno dei ragazzi fa la pipì tra gli alberi e una tarantola tenta di salirgli sull’uccello, un’altra in cui un tizio si masturba in attesa di essere portato via) e una lunga premessa urbana che fa da preludio al carnaio nella foresta. L’omaggio a Cannibal Holocaust è ovvio, generale (The Green Inferno era il titolo di lavorazione del film di Deodato), ma qualsiasi polemica sembra pretestuosa, considerato che il cinema horror ripete gli stessi, poveri schemi da decenni.
La proiezione di Mezzanotte qui a Toronto è stata introdotta da un Eli Roth in modalità rockstar, con tutto il cast in gita premio al fianco. Roth ha tirato fuori lo smartphone, ha annunciato che era il compleanno di papà e dopo averlo chiamato ha chiesto a tutta la sala di cantargli live Happy Birthday. I fan del gore hanno tutti il cuore d’oro.
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