Il programma di Venezia 74 annunciato questa mattina in conferenza stampa dal direttore artistico della Mostra Alberto Barbera conferma a pieno titolo una tendenza già messasi chiaramente in luce negli ultimi due anni: Venezia si sta ritagliando una posizione sempre più centrale e di tutto rispetto nel panorama dei festival internazionali. Il confronto con una rassegna importante come il quasi contemporaneo Toronto, notevole per peso commerciale sul mercato nordamericano e sulla stagione dei premi successiva, è tutt’altro che impari. Toronto si è infatti presentata quest’anno con un programma più snello del solito, per rendere più agevole la fruizione degli addetti ai lavori dei singoli film e con la sua consueta vetrina globale su un cinema marcatamente anglofono, nella vocazione e nelle scelte.
È dunque particolarmente interessante notare come Venezia, annunciando il suo programma giusto qualche giorno dopo, abbia risposto con un cartellone che, pur non tradendo la vocazione più di ricerca di un festival tipicamente europeo, sia riuscita una volta di più a coniugare proposte d’autore e prodotti più mainstream, inseguendo un eclettismo sanamente popolare senza per questo difettare d’interesse, a più livelli e in ogni sezione. Per Barbera e per la squadra, in attesa di vedere i film e di valutare la qualità complessiva della proposta, si tratta senza ombra di dubbio di una vittoria, anche se per il momento siamo ovviamente costretti a parlare a bocce ferme.
Venezia dopotutto, come scriveva Variety qualche giorno fa, avrebbe intensificato la pressione anche su un’altra kermesse che si svolge negli stessi giorni della Mostra lagunare, l’americana Telluride Film Festival, in merito all’organigramma, frutto di enormi e delicati equilibri istituzionali, delle anteprime mondiali e internazionali. Una voce che Barbera ha voluto smussare in prima persona, garantendo che i rapporti con Telluride sono assolutamente amichevoli e che lui stesso lavora in prima persona non certo per una sterile competizione quanto per far sì che alcuni dei titoli presentati a Venezia possano poi essere mostrati agevolmente anche a Telluride. Se a ciò aggiungiamo anche l’anno non troppo florido di Cannes, Venezia potrebbe davvero portare a casa un’annata da ricordare.
La sensazione è che Venezia, dato il prestigio crescente acquisito nei complessi meccanismi interni dei festival autunnali, possa seriamente dire la propria anche in merito ai prossimi Oscar, visto che già da alcuni anni Barbera e il suo team si sono rivelati estremamente oculati e opportunamente attenti nel porre l’accento su dei titoli che nei mesi successivi hanno catalizzato l’attenzione, fatto discutere, attirato su di sé i riflettori del pubblico e della critica in egual misura. In attesa di sapere se Downsizing di Alexander Payne saprà imporsi in tal senso allo stesso modo degli illustri predecessori Gravity, Birdman e La La Land, anche il resto del programma garantisce in tal senso indicazioni confortanti e positive che lasciano davvero ben sperare.
Il Concorso, dal canto suo, appare uno dei più stimolanti degli ultimi anni. Si è riusciti anche a piazzare più o meno in extremis il colpaccio Mother! di Darren Aronofksy, che la Paramount non avrebbe voluto portare sul Lido per paura degli spoiler, stando alle dichiarazioni di Barbera, e sul quale il direttore artistico ha voluto mantenere il più assoluto riserbo. Si tratta però indubbiamente di un grosso film d’autore americano, se così lo si può definire, dall’impatto mediatico non indifferente (il regista Darren Aronofsky dirige la compagna di vita Jennifer Lawrence, insieme alla cifra di un cineasta multiforme che fa sempre discutere), che non mancherà di destare l’attenzione di tutti e di solleticare la curiosità generale.
Il resto dei titoli che concorreranno per il Leone d’Oro mantiene peraltro ottimi standard in termini di appeal. Ci saranno infatti Suburbicon, nuovo film da regista di George Clooney con Matt Damon, Oscar Isaac e Julianne Moore basato su una sceneggiatura dei fratelli Coen rivista dall’attore in chiave politica (qui il primo trailer), e The Shape of Water di Guillermo Del Toro, definito da Barbera un prodotto a metà tra La bella e la bestia e Il mostro della laguna nera. Due titoli di primissimo piano, ai quali si vanno ad aggiungere Lean on Pete di Andrew Haigh, regista interessante già emerso con 45 anni e il nuovo, attesissimo film di Abdellatif Kechiche, Mektoub, My Love: Canto Uno, che riporta il regista alla durata fiume e all’ambizione de La vita di Adele, e First Reformed, definito dal regista Paul Schrader stesso una summa del suo cinema e del quale si parla già come di un film sconcertante.
Il cinema italiano presente alla Mostra di quest’anno è tantissimo e in concorso ci sono ben quattro titoli, tutti molto diversi da loro: Ella & John di Paolo Virzì, Ammore e Malavita dei Manetti bros, Una famiglia di Sebastiano Riso e Anna di Andrea Pallaoro. In concorso hanno trovato posto Brutti e cattivi di Cosimo Gomez, Gatta cenerentola, film d’animazione napoletano, e La vita in comune di Edoardo Winspeare, oltre al film d’apertura già annunciato, Nico, 1989 di Susanna Nicchiarelli. La proposta si mostra ricca e variegata e Barbera, per il primo anno da molto tempo a questa parte, non ha avanzato dubbi sul cinema di casa nostra e sulla sua quantità di produzioni (a scapito della qualità), ma ne ha lodato piuttosto le capacità di confronto con gli schemi del cinema internazionale: una specie di “nouvelle vague”, stando al direttore, alla larga da elementi autoreferenziali. La presenza di Suburra – La serie, prima produzione italiana targata Netflix, nella sezione Cinema del Giardino va sicuramente in questa direzione. Tutti ottimi segnali, senza per questo entrare nelle celebrazioni campanilistiche a tinta tricolore che molto probabilmente tanta stampa nostrana non tarderà comunque a far proprie.
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