A Venezia 76 è stato il giorno di Ad Astra, l’attesissimo nuovo film di James Gray con protagonista Brad Pitt nel ruolo di un astronauta, Roy McBride, che suo malgrado si ritrova a mette sulle tracce del padre H. Clifford (Tommy Lee Jones), scomparso nelle profondità dell’Universo. All’inizio della storia, da qualche parte nella galassia, uno spazio elettrico sta scaricando la sua forza a velocità supersonica, minacciando la sopravvivenza della Terra e mettendo a rischio i suoi abitanti, e il Maggior interpretato dal divo ha il compito di guidare la missione che dovrebbe sbarazzarsi del problema.
La situazione, però, prende immediamente una piega più complicata del previsto: l’uomo è infatti il figlio, pluridecorato, di colui che ventinove anni prima partì oltre i confini della Terra per cercare segni di vita su Nettuno, mettendosi a campo della pericolosa e segretissima missione Lima per cercare forme di vita aliene. Da sedici anni non si hanno più sue notizie, ma Roy viene informato, con suo sommo sbigottimento, del fatto che il genitore potrebbe essere ancora vivo.
«Il film s’ispira in qualche modo a una citazione che lessi sul muro di una Mostra – racconta il regista James Gray in conferenza stampa -, diceva così: “La storia e il mito iniziano sempre nel microcosmo personale”. Io e Brad abbiamo cercato di raccontare la storia più piccola possibile, ma sullo sfondo del macrocosmo. Il cinema ovviamente è un’arte collettiva: ci sono dentro la pittura, la danza e anche la letteratura. Forse sono un po’ vecchio stile, ma credo molto nella narrativa e mi piace rubare dai migliori. Il personaggio di Tommy Lee Jones nel film cita Moby Dick di Herman Melville, alla lettera. Ragion per cui alcuni diranno che sono vetusto, ma io credo davvero nella forza archetipica del Mito».
Ad Astra cita anche un altro classico della letteratura americana come Cuore di tenebra di Joseph Conrad, già alla base di Apocalypse Now di Coppola, e non a caso è un film cupo e intimista, capace di inserire delle atmosfere e dei temi da tragedia greca in un’avventura solitaria e disperata ai confini del sistema solare, in cui le colpe dei padri ricadono irrimediabilmente sul destino figli. Temi già cari al regista, che in passato li aveva esplorati in molti suoi lavori, tra cui il dramma familiare e poliziesco I padroni della notte.
L’incontro col cinema di Gray, stando a quanto dichiarato da Pitt, è stato a lungo rimandato prima di trovare il progetto giusto per far nascere una collaborazione: «James e io siamo amici dagli anni ‘90, fin dai tempi di Little Odessa, e da tempo volevamo fare qualcosa insieme. Quando è partita la lavorazione di Ad Astra lui aveva appena finito Civiltà perduta e ha presentato questa sceneggiatura ai miei partner per realizzare il film (che Pitt ha anche prodotto con la sua Plan B, ndr). La sua visione era per me molto intrigante come uomo, padre e figlio. La storia è così delicata che il nostro sforzo costante consisteva nel mantenere un equilibrio, tanto nel ritmo quanto nella voce narrante. Ci voleva qualcosa di sottile e delicato».
«Tutti noi ci portiamo dentro qualcosa di puro fin dall’infanzia, ma se non sei sincero con te stesso poi non sarai sincero nemmeno con lo spettatore – continua Pitt -, James mi mandava delle mail la mattina con delle idee che provenivano dalla sua vita personale e questo ci ha permesso di avere un dialogo molto aperto sulla rappresentazione delle singole scene. Abbiamo anche riflettuto sulla mascolinità, sul modo in cui spesso gli uomini tengono fuori il dolore e la vergogna e tendono a rimuoverli. Sia io che James, dopotutto, siamo stati svezzati dai film degli anni ’70, da quei personaggi che non erano né buoni né cattivi ma semplicemente umani. È la stessa complessità che trovo nel mondo, dove non tutto è bianco o nero, e che cerco di riportare nei film che faccio».
Il film, che vede nel cast anche Liv Tyler, Donald Sutherland e Ruth Negga, uscirà nelle nostre sale il prossimo 26 settembre.
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