Dopo aver conquistato Cannes e ottenuto nomination agli Oscar, ai Golden Globes e ai BAFTA per il suo film Cafarnao, la regista libanese Nadine Labaki è venuta a Venezia 2019 per partecipare alla masterclass MasterCard sul futuro dell’audiovisivo, dove ha conversato con Brian De Palma, Rossy De Palma e Valeria Golino.
Prima dell’incontro ci ha concesso un’intervista, e la prima domanda è stata sul tema del panel: cosa significa per lei “Vedere la vita attraverso una lente diversa?”.
“Credo che significhi usare il cinema come una missione. Io credo nel potere del cinema, e nella sua responsabilità, nel suo impatto. Cerco di essere all’altezza di quella responsabilità, sento che questa sia la mia missione come essere umano e voglio usare al meglio lo strumento che ho a disposizione. Il cinema può umanizzare un problema, dare un volto alle difficoltà. Non è come leggerlo sui giornali.”
Il suo successo può ispirare una nuova generazione di cineasti. Si considera un modello da seguire? “Spero che il mio viaggio nella vita e il mio lavoro possano ispirare gli altri, perché vengo da un paese dove l’industria cinematografica non esiste. A scuola ci dicevano che il Libano era un puntino invisibile sulla cartina. Sognare in grande sembrava impossibile, quindi spero di dare ad altri la speranza che tutto sia possibile. I miei film sono partiti dal nulla, erano delle piccole avventure in famiglia. Poi ti ritrovi a Cannes o agli Oscar, ed è impressionante.” Film come Cafarnao possono cambiare la società? “Credo di sì, altrimenti non l’avrei girato, non ci avrei creduto. Quando le persone mi dicono cos’hanno provato vedendolo, come la visione del film li ha cambiati, è il primo passo nel compiere la missione di quel progetto. Non possiamo essere indifferenti nei confronti dei bambini che vivono in quelle condizioni ogni giorno. Dobbiamo ribellarci, non possiamo adattarci alla situazione”.
Che tipo di cinema le piace fare? “Siamo maggiormente consapevoli del poter fare film con meno soldi, del poter usare il mezzo in modo più organico. Per me è incredibile sapere che esiste questa libertà, diversa dal modo classico di fare cinema. È liberatorio, ed è stato così per Cafarnao, l’abbiamo girato senza restrizioni, per sei mesi, senza interferire nella vita quotidiana della zona dove ci trovavamo. Ci siamo adattati all’ambiente circostante, invece del contrario. È stata una sfida molto interessante.”
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Foto: ©Daniele Venturelli/Getty Images
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