Si racconta che a un giornalista, che le chiese se la definizione di “Meryl Streep europea” le calzasse, rispose che la differenza tra lei e la grande attrice americana è che quest’ultima ha sempre recitato solo in inglese. Una dichiarazione degna di una donna estremamente sicura di sé e di un’attrice straordinaria come Isabelle Huppert, giunta a Venezia per ritirare il Filming Italy Best Movie Award Achievement alla carriera (qui il racconto e le foto della cerimonia di premiazione).
Una carriera iniziata nel 1971 e che negli anni l’ha vista lavorare con grandi registi come Otto Preminger, Claude Chabrol, Jean-Luc Godard, Michael Haneke e molti altri ancora. Ha vinto due premi per la miglior interpretazione femminile a Cannes (per Violette Ozière e La pianista) e recentemente un Golden Globe per Elle.
L’abbiamo incontrata nel backstage dell’Italian Pavillion dell’Hotel Excelsior, in attesa che la serata di gala iniziasse. Con indosso un outfit Armani Privé color crema e scintillante che esaltava la sua algida bellezza, ecco cosa ci ha raccontato.
Madame Huppert, lei ha una lunga e ricca carriera alle spalle, eppure lavora ancora così tanto e in progetti così importanti da sembrare un’esordiente. Come ci riesce?
«In effetti, io mi sento ancora così. Come qualcuno che è agli inizi e che ha ancora tutto da scoprire. Più che di carriera parlerei di percorso».
Ci sono dei film che più di altri all’interno di questo percorso sono stati particolarmente significativi?
«Ho lavorato con dei grandissimi registi e ogni film che ho girato è il riflesso della loro personale visione, per questo mi risulta difficile individuarne solo alcuni. Quando ho avuto l’invito per ricevere il Filming Italy Best Movie Award, ho ripensato alle mie varie esperienze con registi italiani molto importanti. Ho recitato per Mauro Bolognini, Marco Ferreri, i fratelli Taviani, Marco Bellocchio. Adesso mi manca solo una donna. Sapere di essermi aggiudicata un premio da parte del vostro pubblico mi riempie d’orgoglio, perché il cinema italiano fa parte della mitologia della Settima Arte, grazie ad autori, come Fellini, De Sica, Visconti, Rossellini… Il marchio della mia carriera è aver lavorato con tanti registi così prestigiosi».
Sconfinando dall’Italia, può dirci qualcosa della relazione professionale che la lega a Michael Haneke?
«Sono stata molto fortunata a incontrare un regista come lui, che è capace di prendere piccole storie e trasformarle in grandi storie. È un regista politico e visionario allo stesso tempo. Mi piace pensare che il cinema non sia solo intrattenimento, ma che offra anche una finestra sul mondo, che sia testimone del mondo. E Michael è un regista che sa dire cose veramente importanti sulla vita e sui tempi di oggi».
Quando lei sceglie un film, dunque, le piace che abbia anche un significato politico o sociale?
«No, deve solo piacermi lo script. Sono un’attrice, non una missionaria, ma la sceneggiatura deve ovviamente colpirmi, suscitare il mio interesse».
«Lei è nota per essere un’instacabile lavoratrice. Nella serie televisiva Chiami il mio agente!, nell’episodio a lei dedicato, si fa della grande ironia su sulla sua reputazione di stakanovista. C’è comunque un fondo di verità?
«Si tratta, ovviamente, di un’esagerazione, di una sorta di caricatura che è necessaria alla narrazione, ma c’è poca differenza in effetti».
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