Dopo The New Pope, la serialità targata Sky è nuovamente protagonista a Venezia 2019 con i primi due episodi di ZeroZeroZero, miniserie basata sull’omonimo libro di Roberto Saviano. Come per Gomorra, la supervisione generale del progetto è a cura di Stefano Sollima, che firma anche la regia insieme a Janus Metz (Borg McEnroe) e Pablo Trapero (El Clan). La miniserie è una co-produzione internazionale che racconta il viaggio di un carico di cocaina dal Messico all’Italia, passando per gli Stati Uniti dove la famiglia Lynwood (Gabriel Byrne, Dane DeHaan e Andrea Riseborough) si occupa della trattativa fra il fornitore e l’acquirente. Saviano e Sollima sono venuti a Venezia per accompagnare le prime due puntate, insieme a DeHaan, Riseborough e altri membri del cast e della troupe.
A Saviano viene chiesto se, dato il successo delle precedenti trasposizioni delle sue opere, pensa già a un possibile adattamento quando lavora a un nuovo libro. Risponde l’autore: «In realtà quando si scrivono libri su questo tema le immagini sono dominanti, quindi la traduzione cinematografica o in serialità sembra naturale. La caratteristica dello sguardo italiano su questi temi è davvero peculiare, perché avendo le mafie più antiche del mondo, e le organizzazioni criminali con più regole, a cui si ispirano gli altri, anche quando il cinema racconta tutto questo deve avere un punto di vista altro, che non può essere quello che è stato utilizzato fino ad ora nel genere. Il genere letterario che affronta questo tema è assolutamente gemello di quello che sta nascendo anche nel cinema italiano nel raccontare queste storie».
Alla domanda sulla circolazione globale della cocaina, Saviano risponde con una provocazione: «Non esiste nulla al mondo che ti faccia guadagnare di più della cocaina. Se io in questo momento a lei, che mi ha fatto la domanda, do un sacchetto di coca, lei prima di uscire dal festival lo sa vendere. Se le do un sacchetto di diamanti, lei non troverà nessuno disposto a fidarsi di lei per comprare dei diamanti, anche se sono veri. La serie non è un racconto sul narcotraffico ma sul potere, sull’economia del nostro tempo, su quello che io credo sia il capitalismo contemporaneo». Aggiunge Stefano Sollima: «Era interessante lavorare a questo progetto perché il libro di Roberto racconta il narcotraffico da un’angolazione speciale, e ci dava la possibilità di raccontare il nostro mondo, di come l’economia globale, e la nostra vita, sia in qualche modo colpita dal traffico».
Qual è la sfida maggiore per Sollima in quanto regista? «Penso che la sfida più importante sia quella di rimanere il più vicino possibile a quelle che sono le intenzioni iniziali: non perdere di vista quello che è il tuo stile, il tuo punto di vista, e soprattutto non farti distrarre da quello che ti circonda». Qual è l’origine della sigla, che contiene suggestioni visive dell’oro nero già evocato da Saviano? «L’ha concepita Francesca Abruzzesi. L’idea in realtà non era soltanto quella dell’oro liquido, ma più quella di suggerire uno dei nostri temi, quello del viaggio. Noi raccontiamo un singolo carico di cocaina dal suo punto d’origine a quello di arrivo, e questo ci ha portato a immaginare una serie di rotte commerciali che fossero comunque attraversate dal traffico».
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