Festival di Venezia 2020, Elisabetta Sgarbi: «Con Extraliscio la balera diventa punk»
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Festival di Venezia 2020, Elisabetta Sgarbi: «Con Extraliscio la balera diventa punk»

Festival di Venezia 2020, Elisabetta Sgarbi: «Con Extraliscio la balera diventa punk»

“Contaminazione” è la parola chiave di tutta l’arte di Elisabetta Sgarbi come del DNA degli Extraliscio, la band romagnola che mescola musica da balera e distorsioni punk. Da questa affinità elettiva, e dalle radici comuni in Emilia Romagna, nasce il film di Sgarbi Extraliscio – Punk da balera, che la regista ha presentato alle Giornate degli Autori alla Mostra del Cinema di Venezia, vincendo il Premio SIAE al miglior talento creativo. Nel film Sgarbi non solo racconta il percorso e la filosofia della band, composta dal cantante Mauro Ferrara, il clarinettista Moreno il Biondo, capo orchestra di Casadei, e il polistrumentista Mirco Mariani, ma dà anche voce alle leggende del liscio romagnolo come Riccarda Casadei, Roberta Cappelletti e Armando Savini. E, forse l’aspetto più sorprendente, rivela il rapporto insospettabile con le sonorità del liscio di tante star della canzone italiana, come Jovanotti, Elio, Vasco Brondi, Francesco Bianconi dei Baustelle, Lodo Guenzi e persino Orietta Berti. «L’identità degli Exraliscio è difficile da focalizzare», spiega Sgarbi. «Ho cercato di darle un ordine componendo il film a capitoli, dalla tradizione più solenne e nobile del valzer al mondo di visioni che diventa il loro e il mio insieme».

Elisabetta Sgarbi e il Premio SIAE @Betty Fiore

Da sempre i suoi film, come I nomi del signor Sulcic e L’altrove più vicino, affrontano i temi della memoria e dell’identità sfaccettata. In questo caso, ha molto a che fare con le sue stesse origini…

Nel film, scritto col filosofo e teologo Eugenio Lio e lo scrittore Ermanno Cavazzoni, c’è la mia identità emiliana: sono nata a Ferrara, mia mamma era romagnola, mio padre veneto di confine. Ho incontrato la band grazie a Cavazzoni: la peculiarità degli Extraliscio è proprio contaminare la tradizione di Casadei con qualcosa di dirompente, fra la musica da balera e il punk, per arrivare a pubblico più giovane. In questo, c’è qualcosa che mi assomiglia. Ma volevo anche restituire l’identità a un gruppo troppo poco conosciuto.

La contaminazione fa da sempre parte anche del suo lavoro da editrice, nei tanti anni come direttrice di Bompiani e nella casa editrice che ha fondato, La Nave di Teseo. Perché?

Amo i dialoghi tra i saperi. Alla Bompiani, dentro le pubblicazioni di letterature di ogni paese, c’era una sezione legata al cinema che non era ancora esploso, per esempio quello di Quentin Tarantino o Jane Campion. Ho pubblicato le sceneggiature di Bernardo Bertolucci, un genere che nella vita editoriale è penalizzato. Fin da lì ho esasperato il mio modo trasversale di guardare. Poi, incitata da Umberto Eco, ho fondato La Nave di Teseo con lo stesso sguardo che contamina: in molte collane ci sono racconti letterari di musicisti.

Gli Extraliscio

Cosa l’ha spinta a fare anche la regista?

Il modo in cui vedo il mondo: se cammino per la strada, ho bisogno di cancellare dei pezzi di quello che vedo e fare la mia inquadratura. Ho dovuto rinnegare gli studi scientifici in farmacia. Sono vissuta in una famiglia che amava molto l’arte, mio fratello Vittorio mi ha fatto scoprire artisti che sono gli equivalenti degli Extraliscio nella musica, persone davvero creative che nessuno ha mai nominato. Nel mio sguardo c’è sempre un mondo onirico. Sono una persona malinconica, ho bisogno di mettere un velo fra me e le cose. Un po’ come Fellini che a un certo punto diceva: “Via il tulle davanti alla macchina da presa!”, ma a un certo punto la realtà col tulle la vedeva anche a occhio nudo.

Il mondo di Extraliscio, però, è coloratissimo…

È fantasia, libertà e gioia. Volevo luci che mi ricordassero i titoli di Juan Gatti per i film di Almodóvar. Volevo le luci gialle, rosse, verdi che fossero lo sfondo degli interni in cui vedevo esibirsi il questo gruppo. Questi ambienti dialogano con gli esterni sul Po, sul battello guidato da Doriano, il pescatore della mia trilogia Uomini del Delta.

Perché ha voluto dedicare il film a sua madre?

Il liscio ha fatto parte della mia infanzia. Mia mamma cantava, era una ballerina, e la famiglia Sgarbi dalla parte di mio padre, a Stienta in provincia di Ferrara, era soprannominata “i ballarìn”. Mio padre mi ha insegnato a ballare il valzer, anche se a me piaceva il rock.

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