Chiara Ferragni al Festival di Venezia, ma il documentario sulla sua vita è poco più di un post su Instagram
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Chiara Ferragni al Festival di Venezia, ma il documentario sulla sua vita è poco più di un post su Instagram

Il film che ripercorre la vita e i talenti della influencer di Cremona non supera mai la dimensione delle celebrazione pubblicitaria

Chiara Ferragni al Festival di Venezia, ma il documentario sulla sua vita è poco più di un post su Instagram

Il film che ripercorre la vita e i talenti della influencer di Cremona non supera mai la dimensione delle celebrazione pubblicitaria

Lunghe file per la proiezione stampa, a onor del vero anche a causa della sala non grandissima (150 posti), ma una generale delusione a fine proiezione. Chiara Ferragni – Unposted, il documentario dedicato all’influencer di Cremona, è l’equivalente cinematografico di una serie di post su Instagram, il social network su cui conta oltre 17 milioni di follower: un’escursione autocelebrativa nel settore audiovisivo (e festivaliero) in cui la regista Elisa Amoruso fa – né più né meno – la figura della social media manager.

Divenuta nel giro di dieci anni, e ad appena 30 compiuti, un’imprenditrice capace di fatturare oltre 40 milioni di euro l’anno solo con il suo marchio di moda – senza considerare cioè tutte le ricadute delle sue attività editoriali -, Ferragni corona con questo film un anno di grandi cambiamenti, quello della nascita del primogenito Leone, del matrimonio con Fedez e della decisione di diventare CEO di entrambe le società che ha fondato, TBS Crew (evoluzione del suo blog The Blonde Salad) e Chiara Ferragni Collection.

L’idea sarebbe quella dello stralcio inedito e spontaneo (“unposted”, appunto), sottratto a una quotidianità rigorosamente irregimentata dagli appuntamenti di visibilità – e i social sono aperti 24/7, come ricorda la stessa Chiara -, costruito attraverso filmini familiari, prestigiosi contributi giornalistici (tutti ferocemente incensatori) e slanci passionali delle follower-groupie che l’hanno eletta a modello aspirazionale. Ma Ferragni non si mette mai davvero a nudo, e il massimo della sofferenza che sembra disposta ad affrontare per diventare “la Chiara che vorrebbe essere” è un piercing al capezzolo (naturalmente fuori campo).

È facile intuire che c’è molto di più, ma tocca intuirlo, perché è questo che lei (si può immaginare il controllo ferreo che avrà esercitato sul montato finale) decide di mettere in scena. Nel quadro non una crepa, una contraddizione, una sbaffo di colore: l’unico a strappare un sorriso è Fedez, nei rari momenti in cui gli viene concessa la scena. Peccato: l’ascesa di quella che Forbes ha definito “la più importante influencer al mondo nel campo della moda” avrebbe meritato un vero approfondimento giornalistico, una qualche indagine antropologica sulle origini di una tanto produttiva forma di narcisismo e un serio racconto dei talenti imprenditoriali della sua protagonista. E magari avrebbe meritato un contraddittorio, un contorno di voci fuori dal coro.

Che tutto questo non ci sia non è nemmeno un limite del progetto, pensato per continuare a solleticare milioni di follower e non certo per suscitare l’interesse di cinefili e festivalieri. Verrebbe da fare un paragone con il doc su Lady Gaga Five Feet Two, e tutto il dolore e la creatività che ne traspaiono, ma sarebbe un errore: miss Germanotta è un’artista, Ferragni una pubblicitaria.
A questo punto è semplicemente incongruo – anche se comprensibile – che il film sia stato invitato a Venezia.

Foto: ©Biennale Cinema / 01 Distribution

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