Daaaaaali!: il fascino indiscreto di essere Salvador. La recensione del folle ed esilarante film di Quentin Dupieux
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Daaaaaali!: il fascino indiscreto di essere Salvador. La recensione del folle ed esilarante film di Quentin Dupieux

Una giovane giornalista francese incontra ripetutamente Salvador Dalí per il progetto di un film documentario le cui riprese non hanno mai inizio...

Daaaaaali!: il fascino indiscreto di essere Salvador. La recensione del folle ed esilarante film di Quentin Dupieux

Una giovane giornalista francese incontra ripetutamente Salvador Dalí per il progetto di un film documentario le cui riprese non hanno mai inizio...

Daaaaaali! Quentin Dupieux Venezia 80
PANORAMICA
Regia
Sceneggiatura
Interpretazioni
Fotografia
Montaggio
Colonna sonora

Nel medesimo anno di Yannick, presentato allo scorso Locarno Film Festival, e nella stessa annata in cui è uscito anche Daliland, con Ben Kingsley ed Ezra Miller, il prolifico e scombiccherato regista francese Quentin Dupieux, cineasta di culto, ha affrontato di petto la figura del pittore spagnolo Salvador Dalì in Daaaaali, inserendolo a meraviglia nella sua galleria di personaggi bizzarri e surreali. Nel film, presentato Fuori Concorso a Venezia 80, una giovane giornalista francese (Anaïs Demoustier) incontra ripetutamente Salvador Dalí per il progetto di un film documentario, le cui riprese tuttavia non hanno mai inizio… 

Dupieux, autore di film strampalati e deliranti come Mandibules, forse il suo prodotto in assoluto più divertente, ha replicato alcune immagini partorite dal grande artistica iberico, a partire dal pianoforte con un buco al centro che spruzza acqua dentro un piccolo laghetto ritagliato davanti a sé, di fatto come se lo strumento facesse pipì. Si tratta di uno dei due tableaux vivants che il regista, montatore, sceneggiatore e direttore della fotografia ha filmato nel deserto spagnolo, ispirandosi a due dipinti di Dalí: la già citata Fontana necrofila che scorre da un pianoforte a coda (1932), che apre e chiude il film, e L’arpa media fine e invisibile (1932). 

Dupieux sceglie la via del meta-cinema e del giornalismo per approcciarsi al totem Dalì, che mette in scena come un superuomo dal narcisismo dilagante e inarrestabile, eppure irresistibile: un meraviglioso ed esilarante pretesto per inanellare una serie di scenette situazioniste e bislacche, tipiche dell’umorismo peculiare e amabilmente fuori di testa del cineasta, noto anche col nome d’arte d Mr. Oizo. Dalì è interpretato da diversi attori francesi, come Gilles Lelouche, Édouard Baer, Jonathan Cohen, Pio Marmaï e Didier Flamand (nei panni di Dalì da vecchio), tutti impegnati a gigioneggiare senza sosta nel replicarne la parlata pomposa e ridicola e chiamati a incarnarlo, ciascuno con dei baffoni arzigogolati “pettinati” in modo singolare, in diverse stagioni della vita. 

Dalì, che come il film ci ricorda considerava se stesso e la sua personalità i suoi più grandi capolavori, assecondando un’idea che mirava a fare della vita stessa dell’artista un’opera d’arte, serve a Dupieux per intavolare una parodia del narcisismo caro a tanti artisti. Ciò che gli preme di più, tuttavia, è una dimensione fumettistica che consente al suo film di gettare la maschera di ogni supposta serietà e lasciarsi andare a una giostra di trovate fuori di testa, che procedono rigorosamente a briglia sciolta, come a replicare la spinta surrealista del grande Salvador e ad omaggiarla in maniera tanto gioiosa quanto squinterna. 

Le riprese del film, la cui colonna sonora, consistente più che altro in un unico tema ripetuto ossessivamente e firmata dall’ex Daft Punk Thomas Bangalter, si sono svolte dapprima nel sobborgo parigino di Saint-Cloud, nel sud della Francia, e infine in Spagna, dove è stata allestita una casa sulla Costa Brava affinché il film evocasse la vera dimora di Dalí a Port Lligat. Ciò che manderà maggiormente in solluchero i più cinefili è tuttavia l’omaggio che Dupieux fa a Il fascino discreto della borghesia, il grande capolavoro di un cineasta amico e connazionale di Dalì come Luis Buñuel (i due, ventenni, collaborarono agli indimenticabili Un chien andalou e L’âge d’or): un detour in cui i sogni di un vescovo, padre Jacques, che ha l’incubo di essere ucciso da un cowboy, si incastrano continuamente dentro altri sogni, in un costante rimpallo che propone ripetiti e spassosissimi ribaltamenti a cavallo tra realtà e finzione, nei quali tutto si azzera e riparte sempre daccapo.

Foto: Atelier de Production, France 3 Cinéma

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