Festival di Venezia 2019: 5 è il numero perfetto, la recensione del cinecomic di Igort
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Festival di Venezia 2019: 5 è il numero perfetto, la recensione del cinecomic di Igort

Toni Servillo è un assassino della Camorra che torna a uccidere dopo molti anni per vendicare la morte del figlio. Un noir cinefilo pieno di citazioni, tratto da una graphic novel del regista. Nel cast anche Valeria Golino e Carlo Buccirosso

Festival di Venezia 2019: 5 è il numero perfetto, la recensione del cinecomic di Igort

Toni Servillo è un assassino della Camorra che torna a uccidere dopo molti anni per vendicare la morte del figlio. Un noir cinefilo pieno di citazioni, tratto da una graphic novel del regista. Nel cast anche Valeria Golino e Carlo Buccirosso

5 è il numero perfetto, il film di Igort in concroso alle Giornate degli Autori
PANORAMICA
Regia (4)
Interpretazioni (4)
Sceneggiatura (3.5)
Fotografia (4)
Montaggio (3.5)
Colonna sonora (3)

Nonostante il termine sia stato sdoganato da tempo e si usi con una certa trascuratezza, in Italia i cinecomic “puri”, cioè le opere cinematografiche tratte da racconti a fumetti, sono una rarità. Non vanno confusi con le operazioni crossmediali, come nel caso di Smetto quando voglio, Ride o Monolith, né con i film ispirati a immaginari a fumetti, come nel caso di Lo chiamavano Jeeg Robot.
Cinecomic puri sono La profezia dell’armadillo e Arrivano i Prof o, prossimamente, il Diabolik dei Manetti Bros.

C’è però un elemento di unicità ulteriore in 5 è il numero perfetto, debutto alla regia di Igort, ovvero che l’autore del film è anche autore del graphic novel da cui il film è tratto. Non solo: la stessa storia viene ripresa in mano a oltre quindici anni di distanza, il che comporta un ripensamento del materiale, una ri-lavorazione che è sia tecnica (cambia il medium) che emotiva (è diversa l’età e l’esperienza).

È evidente allora come 5 è il numero perfetto sia prima di tutto un osservatorio linguistico privilegiato, uno studio sulle declinazioni del noir ricco di nervature cinefile, che vanno dalle sparatorie coreografate del cinema di Hong Kong a certi umori virili del polar francese, passando per la stilizzazione estrema dei comic book movie americani – e penso a Dick Tracy e Sin City ma anche, e forse soprattutto, a Era mio padre -, fino ad arrivare ai Bad Boys di Micheal Bay.

Potrebbe sembrare una logica da catalogo, non fosse per la malta creativa che tiene insieme questo universo di riferimenti e che in definitiva corrisponde allo “sguardo” di chi mette in scena (il regista e il direttore della fotografia, qui Nicolai Brüel), merce rara in un’industria creativa acerba come quella del nostro cinema di genere.
Di cos’è fatto quindi – e ulteriormente – questo sguardo?
In questo caso parrebbe il risultato della contaminazione tra lo stile grafico di Igort (quello dell’opera a fumetti, a suo tempo dirompente) e i modelli citati, espresso però – ed è qui lo scarto – con la sensibilità del teatro partenopeo, un contegno e un parlato che vestono le vite e le mitologie di quartiere – le catene di aneddoti – di un’ironia a tratti sognante e a tratti dolorosa.

Questo esiste naturalmente già nel libro, ma qui ottiene uno spessore decisivo dovuto alla libertà e al tempo che Igort lascia al protagonista Toni Servillo, spesso allungando le sue scene a contenere tutte le parole necessarie, molto oltre il montaggio più ovvio. Servillo, ancor più di Valeria Golino e Carlo Buccirosso, è l’”incarnato” dello sguardo di Igort, lo completa dandogli un tempo e una inflessione. Lui è la natura della storia.

Perché se la storia, questa storia, racconta di un guappo che torna ad ammazzare e diventa un cane sciolto per vendicare la morte del figlio, lo svolgimento va preso meno sul serio della questione stilistica: la narrazione continuamente sfugge alle pretese della sinossi e si riforma nei tagli di luce, nel trucco degli attori, nelle dinamiche delle sparatorie, nell’evidenza dei costumi. Il noir si fa così metafisico e sfuggente, freddo e declamato, richiede una sospensione dell’incredulità che è una scommessa del cuore, più facile per chi ama le fonti di ispirazione.
A un cinecomic si dovrebbe chiedere esattamente questo.

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