Antonio Barracano, “uomo d’onore”, divide il mondo nettamente tra “gente per bene e gente carogna”, è il “Il Sindaco” del Rione Sanità. Con il supporto di un amico medico e forte del suo carisma riesce a farsi arbitro della giustizia coi suoi personali parametri, che esulano da ogni legge dello Stato e rendono conto solo e soltanto a lui e al suo spirito decisionale. A lui, manco a dirlo, si rivolgono tutti coloro che non hanno santi in Paradiso.
Nel 2017 Mario Martone si è confrontato per la prima volta con la messa in scena teatrale de Il Sindaco del rione Sanità di Eduardo De Filippo con un gruppo di giovani attori indipendenti del NEST di San Giovanni a Teduccio. Un dispositivo che ha permesso all’autore di modernizzare il testo, facendolo dialogare con le urgenze della contemporaneità attraverso dei volti scelti secondo il più classico procedimento neorealista: facce calate nel presente, in grado di trasferire sull’opera di partenza le difficoltà impervie che per sono per loro all’ordine del giorno.
La versione cinematografica di quell’operazione destinata al palcoscenico arriva ora in concorso a Venezia 76, con Martone di ritorno nella competizione ufficiale a un solo anno di distanza dal precedente Capri-Revolution. Il regista de L’amore molesto e Il giovane favoloso recupera e mette insieme una squadra di interpreti eterogenei e potenti, in linea con quanto già fatto a suo tempo da Luca De Fiippo, e li pone dinanzi alla sfida di donare nuove coloriture al lascito del più importante drammaturgo partenopeo di sempre.
Lo fa per tramite della figura centrale di Don Antonio, interpretato dall’ottimo Francesco Di Leva, plenipotenziario intorno al quale ruotano le vicende di diversi personaggi portatori di una precisa visione delle cose. A cominciare da Rafiluccio Santariello, figlio del fornaio intenzionato a far fuori il padre, nel quale Barracano ritrova se stesso, le proprie pulsioni di una volta, lo spettro lontano eppure vicinissimo e mai così concreto di ciò che è stato.
Intorno a tutti loro Martone costruisce un film dal taglio indubbiamente teatrale – soprattutto nella prima parte, più appesantita e preparatoria agli snodi incandescenti della seconda – ma capace di intavolare una solidissima recitazione d’impatto e una scrittura granitica che del teatro simula in primo luogo i pieni e i vuoti, le accelerazioni e la attese. Ma anche il rapporto ancestrale con lo spazio chiuso, il peso irrinunciabile da assegnare alle parole per farle pesare come macigni o, per dirla con Brecht, come vere e proprie pietre.
Il film uscirà in sala per tre giorni come film evento (dal 30 settembre al 2 ottobre) e, a una prima occhiata, potrebbe confondersi per estetica e scelte attoriali con il filone seriale e non solo di Gomorra. Da esso Martone mutua le modalità espressive della camorra di oggi l’appeal commerciale, ma vi aggiunge, oltre al rap di Ralph P, lo spessore antico e la sapienza marmorea di De Filippo, rendendo Il sindaco del Rione Sanità una tragedia greca filologicamente asciugata da sparatorie, sangue e violenza, elementi tenuti tutti fuori campo. Un dramma da camera di funerea impassibilità ma di palpiti morali per fortuna più viscerali che verbosi, che approda a una resa dei conti con tanto di Ultima Cena dal sapore addirittura cristologico.
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