Frankie (Maya Hawke) è una giovane ragazza intrappolata nella monotonia del suo quotidiano. Convive con il dolore legato alla perdita del padre e lavora in un locale che detesta. Un giorno, la sua strada si incrocia con quella di Link (Andrew Garfield), giovane irriverente e sfacciato di cui Frankie comprende immediatamente il potenziale espressivo e provocatorio. Con l’aiuto del suo collega Jake (Nat Wolff), la giovane lo trasformerà in un fenomeno mediatico talmente esplosivo da attirare l’attenzione non solo dei social media, ma anche dei produttori di contenuti per il web. Ma quello che inizia come un percorso verso il successo e la felicità si trasformerà presto in un incubo.
La seconda pellicola da regista di Gia Coppola (nipote del leggendario Francis Ford Coppola), dopo l’adattamento della raccolta di racconti Palo Alto, scritta da James Franco, è una feroce riflessione sui social media e sulla cultura dell’apparire perfetti a ogni costo che essi alimentano. Il film inizia quasi come una favola urbana, con l’incontro tra due giovani che non potrebbero essere più diversi: Frankie lotta con la sua voglia di creare qualcosa di importante senza riuscire ad avere idee concrete per esprimersi, mentre Link sembra vivere le sue giornate senza regole e in nome della disillusione. Da questi due estremi nasce una collaborazione che sembra fare scintille, fino a quando il denaro e le folli dinamiche che caratterizzano il mondo del web non entrano in gioco rovinando tutto. Ecco allora che il film si trasforma in una discesa agli inferi che, anche nella messa in scena, sempre più colorata ed estrema, che fa suoi molti vezzi ed effetti digitali caratteristici dei video di YouTube al centro della trama, diventa sempre più grottesca e kitsch. La Coppola dimostra una lucidità spietata nei confronti del mondo dell’intrattenimento online, mettendone a nudo l’ipocrisia e la ferocia. E, al contempo, sembra riflettere su come la cultura digitale abbia distrutto (almeno in parte) una concezione della creatività e della celebrità basata su idee, sentimenti e talento che, oggigiorno, non sembrano avere più la stessa importanza di una volta. Non è un caso che Frankie venga introdotta, nelle prime scene, da cartelli dalla grafica rimandante al cinema muto, o che venga descritta come una persona nata nel momento storico sbagliato. O che il film si svolga in una Los Angeles (ripresa rigorosamente on location, come specificano i titoli di testa) agli antipodi rispetto all’idea che il cinema ha spesso venduto della Città degli Angeli. Sembra evidente che la regista, cresciuta nel mondo del Cinema, voglia sottolineare come i contenuti vuoti di YouTube si stiano tragicamente sostituendo al Cinema e alla sua potenza espressiva come prima fonte di intrattenimento visivo per il pubblico, specialmente quello più giovane.
La Coppola si dimostra, inoltre, capace direttrice di attori, riuscendo a far incarnare alla perfezione i due estremi emotivi del film ai suoi protagonisti: di fronte a un Garfield prorompente e costantemente sopra le righe (come il personaggio richiede), troviamo una Maya Hawke mai così angelica e innocente, vero cuore pulsante del film, in grado di dare un volto e un corpo a un romanticismo che sembra non avere un futuro nello spietato mondo dello show business contemporaneo.
Presentato nella sezione Orizzonti del Festival, Mainstream è uno dei pochi film americani presenti quest’anno al Lido, rappresentante di quel cinema indipendente che vive al confine con Hollywood (la produzione è della American Zoetrope, la storica società di F.F. Coppola) in grado di riflettere su tematiche sociali delicate senza rinunciare all’intrattenimento e a un’anima commerciale. Con questo film, Gia Coppola si conferma come l’ennesimo membro della sua dinastia (ricordiamo, tra gli altri, Sofia Coppola e Nicolas Cage) in grado di regalarci grande Cinema.
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