Arriverà in sala il prossimo 23 gennaio in 400 copie Figli, il film postumo ideato e sceneggiato dal compianto Mattia Torre e diretto da Giuseppe Bonito. Prodotto da Vision Distribution, Wildside e The Apartment (parte di Fremantle), in collaborazione con Sky e Amazon Prime Video, e distribuito dalla stessa Vision, Figli è un ampliamento del celebre monologo di Torre I figli invecchiano e schiera nel cast Valerio Mastandrea, già interprete di quel testo, e Paola Cortellesi nei panni di Nicola e Sara, sposati e con una figlia di sei anni, Anna.
La loro vita viene travolta dall’arrivo del secondo figlio, Pietro, che scombussolerà profondamente i loro equilibri dando vita a una dramedy in grado di coniugare a meraviglia emozione e malinconia, riflessioni sul presente e gusto per il paradosso comico e surreale, tra esilarante disperazione e la tentazione, concretissima, di abbandonarsi a più di un salto nel vuoto. Tutti marchi di fabbrica che, per chi ha già avuto modo di conoscere il genio e l’estro della scrittura di Torre, tra gli autori del serial italiano più influente degli ultimi anni (Boris), non stupiscono affatto e trovano una piacevolissima, ma non per questo meno dolorosa, conferma.
«Mattia Torre manca tantissimo anche a me e mi è mancato costantemente mentre lo giravo – esordisce il regista Giuseppe Bonito, già dietro la macchina da presa per Pulce non c’è e qui alla sua opera seconda, presentando il film alla stampa -, Tutto è successo in maniera molto veloce e fu Mattia a chiamarmi nel periodo in cui aveva capito che fisicamente faceva davvero fatica. Per una serie di motivi, anche personali, ero molto disorientato e Mattia mi disse che aveva pensato a me perché aveva bisogno di un regista di sostegno. Usava quelle iperboli molto sue, mi diceva “sarai un ministro plenipotenziario”».
«Oltre a essere suo assistente in Boris – Il film avevo fatto il regista di seconda unità nella sua serie televisiva La linea verticale con Valerio, dove Mattia aveva raccontato la sua malattia – prosegue Bonito a proposito del suo lavoro nel film, che si ritaglia più di un momento sospeso in limbo ultraterreno dal biancore accecante -, Gli dissi che il mio precedente film era un dramma e non una commedia e che non avevo figli, ma lui mi rispose: “Non chiedermi perché ho pensato a te, è una cosa istintiva”. Il copione aveva dei passaggi sfrontati ma pieni di grazia dalla realtà all’inconscio e la forma che ho voluto dare al film è questa, andando a sottrarre. Facendo La linea verticale con Mattia ho capito che nulla andava dopato, nel passaggio dal tragico al comico, senza tralasciare nemmeno il tragico in forma comica. Dare degli ulteriori effetti con la macchina da presa sarebbe stato castrante per la scrittura di Mattia».
«Il film parla di come mantenere l’equilibrio in una relazione di coppia – dice invece la Cortellesi -, L’arrivo di un secondo figlio in una famiglia con una figlia già grande, che rivendica le proprie attenzioni, spariglia un po’ le carte. È un film che parla d’amore e del lavoro che si fa per mantenerlo. Mi sono riconosciuta in tutte le tipologie di genitori rappresentate e leggendo la sceneggiatura ridevo di me stessa, delle idiosincrasie e delle manie ritratte. Farci ridere di noi stessi, che è un alleggerimento terapeutico, era uno dei grandi talenti della scrittura di Mattia, che non raccontava cose surreali ma cose vere in modo surreale».
«Ci siamo riconosciuti in tante delle cose raccontate dal film, ma soprattutto nelle scene di litigio – aggiunge Mastandrea, amico intimo di Torre oltre che suo abituale collaboratore, emozionato ma incline a non lasciar filtrare i ricordi più dolorosi schermandoli con la sua proverbiale ironia -, Con Paola non avevamo mai lavorato insieme ma probabilmente era il momento giusto per farlo. Nel film c’è il modo di raccontare di Mattia, la sua sfrontatezza, per citare Giuseppe, nel raccontare la realtà, stando dentro le cose piuttosto che non sentirsi responsabile di nulla. Nel film c’è molto del bagaglio esistenziale della sua vita e credo che sia stata una fortuna potergli stare vicino, tra dare e ricevere, prendendo in giro gli stereotipi fino alla morte. Ognuno di noi aveva un rapporto speciale con lui, quindi ora che non c’è più ci sentiamo molto più soli perché non possiamo condividere tra noi tutte le cose che condividevamo singolarmente con lui. Non penso che Mattia volesse lasciare un messaggio al mondo, ma nei suoi testi c’è sempre un po’ di ottimismo».
«Il ruolo della madre, nel nostro paese e nella nostra cultura, è visto come una benedizione e si pensa che se diventi madre devi rinunciare a tutto – continua l’attore coniugando riflessioni e battute sulla genitorialità -, Ma essere genitori non deve essere un punto d’arrivo, bensì d’accompagnamento per le persone. Dovremmo pensarla come una cosa naturale, anche perché, come mi ha detto un mio amico, quando ti nasce un figlio capisci che “se more”. Almeno è così che ho tentato di vivere la mia paternità, quando è capitato a me. Stacco, sei anni dopo. Figlio cerca di uccidere noto attore! (ride, ndr)».
Nel cast di contorno anche Stefano Fresi nei panni di un amico giornalista di Nicola continuamente preso a randellate dai figli e vari interpreti di Boris, a tutti gli effetti la grande famiglia di Mattia Torre: Valerio Aprea nei panni di un padre separato ed erotomane tormentato dallo spettro di un prete (Fabio Traversa, attore di morettiana memoria), Paolo Calabresi (il padre con molti figli) e Massimo De Lorenzo (il cliente del bar di Nicola).
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