La Napoli velata di Ferzan Ozpetek, tra ossessioni, mistero, erotismo. La recensione
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La Napoli velata di Ferzan Ozpetek, tra ossessioni, mistero, erotismo. La recensione

Il regista turco si concede un body double che guarda alle origini del suo cinema

La Napoli velata di Ferzan Ozpetek, tra ossessioni, mistero, erotismo. La recensione

Il regista turco si concede un body double che guarda alle origini del suo cinema

Giovanna Mezzogiorno e Alessandro Borghi in Napoli velata

Una sera ad una festa Adriana (Giovanna Mezzogiorno) si imbatte in Andrea (Alessandro Borghi), un giovane attraente che la seduce e con cui la donna trascorre una rovente notte d’amore. ll giorno dopo i due si danno appuntamento al Museo Archeologico di Napoli, ma Andrea non si presenta: cosa si cela davvero dietro la sua assenza?

A nemmeno un anno di distanza Rosso Instabul (qui la nostra recensione), il regista Ferzan Ozpetek con Napoli velata si lascia subito alle spalle le atmosfere più o meno autobiografiche del film precedente per tuffarsi in una vicenda dai contorni erotici e ammalianti, rivestiti però da una vena esoterica, da una simbologia smaccata – siamo a Napoli, dopotutto, la città della smorfia – e da un’evidente fascinazione, di certo non inedita, per il tema del doppio di depalmiana e hitchcockiana memoria, riletto da Ozpetek a modo suo, strizzando l’occhio ai suoi esordi ma anche al giallo all’italiana.

Rispetto al melodramma spinto di Allacciate le cinture e all’approccio più ovattato di Rosso Istanbul la sensazione, in questo caso, è quella di un ritorno alle passioni violente dell’Ozpetek più fortunato, quello de La finestra di fronte ma non solo. Non a caso il regista di Saturno contro si riappropria di Giovanna Mezzogiorno e costruisce intorno al suo sguardo profondo, attraversato da ombre antichissime, un caleidoscopio di simboli spesso elementari. Una danza macabra intorno a una città, Napoli, che con la morte ha in fin dei conti una familiarità non indifferente e che qui è presenza di volta in volta matriarcale, uterina, grottesca, macabra, strangolante. Come fosse una spirale vorticosa, oltre che uno scrigno ambiguo.

L’approccio di Ozpetek a Napoli è esplorativo e magico, circospetto e allo stesso tempo innamorato: attraverso la figura spettrale di Adriana, personaggio piagato da mille dubbi e schiava di un innamoramento che non sembra avere appigli solidi nella realtà, l’autore annega tra i vicoli e gli interni, i caratteristi partenopei e le opere d’arte, in una specie di rilettura contromano, ardita e di sicuro sbalestrata ma a suo modo generosa, di tutto il suo cinema precedente.

Tra arte antica e reticenze, che a volte sanno di incertezza ma più spesso sono motivo poetico e visivo piuttosto ricorrente (il tema del velo e della scala sono i puntelli figurativi più frequenti del film), tra medicina legale e una scena di sesso che, nella sua carnalità torrida e traboccante di liquidi e di umori, sembra addirittura rubata al cinema di Abdellatif Kechiche, Napoli velata non è certo un film dalla drammaturgia irreprensibile e molte suggestioni, a metà tra la telenovela e la numerologia, sono cavalcate a briglia sciolta.

Per chi avesse nostalgia dell’Ozpetek di un tempo, quello attaccato ai traumi femminili come in Cuore sacro, questo film potrebbe però rappresentare il più piacevole dei ritorni a casa.

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