Quante volte, in questi anni, si è discusso (e si continua a discutere) su chi tra Marvel e DC Films realizzasse i cinecomic migliori? Una supersfida che ha creato dibattiti e polemiche, ma che forse ha centralizzato un po’ troppo l’attenzione. Tanto più che, se di confronto si vuole parlare, allora è giusto inserire anche l’universo Fox: d’accordo, è sempre brandizzato Marvel, ma il linguaggio dell’X-Men Saga, di Deadpool e dell’ultimo Logan, è ben diverso da quello di casa Disney e Warner.
Serve mantenere uno sguardo il più possibile consapevole del fatto che di fronte abbiamo tre scuole di pensiero differenti, per storia e caratteristiche. Marvel è la casa dell’intrattenimento a base di humor, azione, coerenza narrativa e una caratterizzazione dei personaggi molto precisa. Per alcuni è un universo monodirezionale e piatto, ma lo scontro tra Capitan America e Iron Man in Civil War ha frastagliato i contorni “senza macchia” degli eroi, figli di una strategia dalle coordinate ben definite, con cui il brand ha costruito la sua riconoscibilità (e per questo non stravolgerà mai). Inoltre, Marvel sa rinnovarsi: basta confrontare il primo Iron Man del 2008 con i vari Avengers, il già citato Civil War, Guardiani della galassia o Doctor Strange per tracciare un’evoluzione di tematiche, note di humor, immaginari ed effetti visivi. Senza dimenticare quanto creato con le serie dedicate ai Defenders di New York (Daredevil, Jessica Jones, Luke Cage e Iron Fist), prodotti distanti dai contenuti delle Fasi cinematografiche.
Dall’altra parte Kevin Tsujihara, CEO di Warner, ha sempre vantato la serietà e la profondità psicologica dei film DC. Un taglio dark unico che però sta balbettando non poco. La confusione sembra regnare sovrana negli Studio e poco consola la statuetta al miglior trucco di Suicide Squad. A differenza di Marvel, non sembra esserci ancora una linea chiara da seguire, tanto più che la cifra stilistica tanto decantata dai piani alti potrebbe essere sostituita da toni più leggeri nei prossimi capitoli. La sensazione è che sinora abbia influito più la pressione di piacere al grande pubblico e farsi prima alternativa al monopolio di Kevin Feige, piuttosto che la creazione di un equilibrio d’insieme: con Wonder Woman prima e Justice League poi vedremo a che punto siamo arrivati.
Fox, invece, è forse quella che nelle sue “fasi” è riuscita a sperimentare di più con generi e linguaggi. Partiamo dai Fantastici 4, per esempio: i primi due film con Chris Evans e Jessica Alba erano molto Marvel-style e non si prendevano troppo sul serio. Poi, ecco il reboot di Josh Trank, che è sì finito triturato dal caos produttivo dovuto a forti divergenze creative tra regista e Studio, ma dalla sua aveva intenzioni di rinnovamento apprezzabili, purtroppo per nulla concretizzate.
La X-Men Saga è chiaramente la punta di diamante: è cominciata con una trilogia che esibiva tutti gli elementi del blockbuster supereroistico in termini di entertainment, ma dal punto di vista narrativo poteva contare sulla complessità della natura dei mutanti, sul loro sentirsi diversi e non accettati, principio su cui si è sempre fondata la lotta tra Xavier e Magneto. Quindi, si è voltato pagina con la seconda trilogia, stavolta prequel e con i protagonisti ringiovaniti. È arrivato un nuovo cast importante e soprattutto un nuovo modo di esplorare le tematiche della storia, con taglio da spy movie anni ’70 in X-Men: L’inizio e più sci-fi con i viaggi nel tempo di Giorni di un futuro passato.
La differenza, però, Fox l’ha fatta con Deadpool e Logan, dimostrazioni di come si possano fare ottimi cinecomic liberi dalle restrizioni del PG-13. Wade Wilson dissacra la commedia politicamente corretta del binomio Marvel/Disney con codici metacinematografici e autoreferenziali e una violenza esplicita e volutamente esagerata. Logan, invece, è l’apice del lavoro che James Mangold aveva già iniziato con Wolverine – L’immortale, secondo capitolo della trilogia spin-off. Il regista ha scavato nei tormenti del personaggio, spingendolo lontano, prima in Giappone e ora, per l’atto conclusivo, nel deserto messicano. Un senso di isolamento che ci ha condotti a un’opera adulta e profonda, migliore espressione della serietà tanto cercata – e sinora trovata a singhiozzo – dalla nuova era dei DC Films. Logan è un film che fa bene al panorama perché dotato di un respiro più ampio, vincente non solo all’interno del genere di riferimento.
Perciò, quale sia l’interpretazione migliore tra le tre forse non è la domanda giusta da farsi. Più giusto, anche per Hollywood, sarebbe capire che quello dei cinecomic è un mondo malleabile, dagli infiniti spunti, e non incasellabile solo in grandi paradigmi. Il “vietato ai minori” non è la risposta definitiva, ma una delle opzioni: serve un approccio più aperto, con meno focus sui dualismi. Deadpool e Logan hanno tracciato la via, divertendo e commuovendo. La vera domanda è capire chi e quando sarà disposto a seguirla.
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