Raccontare due generazioni a confronto non è cosa per niente facile, ma Francesco Bruni, dopo Scialla!, dimostra di essere il narratore del nostro cinema più adatto a questo tipo di storie e di contrasti, che nelle sue vicende sono puntualmente affrontati con leggerezza, poesia e incantato e comico stupore. In Tutto quello che vuoi Bruni mette in campo un giovane trasteverino ignorante e spavaldo e un signorile poeta dimenticato e affetto dal morbo di Alzhemier, interpretato addirittura da un vecchio maestro del cinema italiano come Giuliano Montaldo. Una sfida non da poco, attraverso la quale Bruni ha voluto lavorare su un’esperienza diretta (la malattia del padre, che ha segnato il suo passato recente) e che può dirsi però eccellentemente vinta.
«Ho fatto qualche cameo per amici, come Verdone e Moretti (rispettivamente in L’abbiamo fatta grossa e ne Il caimano, ndr) – dichiara Montaldo su quest’esperienza sorprendente, per lui in primis – ma quando Francesco Bruni, che conosco da molto tempo visto che sappiamo entrambi cosa vuol dire essere insegnanti al Centro Sperimentale, mi ha proposto questa storia, che lo commuoveva e lo riguardava molto da vicino, non potevo che saltare a bordo. La vita dell’attore è tremenda, fai ciò che devi fare per un momento e poi ti viene detto ci rivediamo tra due ore, o addirittura ci vediamo domani. Il regista invece ha sempre da fare, per sua fortuna. Ho avuto sempre un ottimo rapporto con i miei attori, a parte John Cassavetes che essendo un grande regista si metteva sempre a sindacare su luci, obiettivi e posizioni della macchina da presa. Io voglio bene agli attori e quest’amore che ho avuto per loro, da Philippe Noiret a Gian Maria Volonté, che non era facilissimo, anche se con me ha fatto solo il buono, perché viveva il personaggio a tutte le ore della giornata, in qualche modo mi è ritornato indietro e mi sta ancora ritornando».
Accanto a Montaldo, un cast di giovani e freschissimi attori: «Ho dato vita a questa banda sgangherata di ragazzi – dice Bruni – intorno a un Don Chisciotte sui generis e ringrazio in particolare Emanuele Propizio, che ha accettato una parte molto inferiore al suo valore d’attore. Lele è molto esperto, è stato generosissimo e ha fatto da caposquadra a tutti gli altri con grande padronanza. Mio figlio Arturo, duro dal cuore d’oro, recitando in questo film mi ha fatto un grandissimo regalo. Oggi è più affermato ma all’epoca era ai primi passi nel mondo del rap (Arturo Bruni è un membro del popolare collettivo rap romano Dark Polo Gang, ndr), perché parliamo ormai di due anni fa se ci riferiamo all’inizio della gestazione del film. Non ero sicurissimo del suo utilizzo come attore in questo film, ma mi sono dovuto ricredere, anche se non so se oggi gli interessa davvero fare cinema».
Sul suo racconto dei reticoli della gioventù contemporanea e del suo rapporto col presente, Francesco Bruni rinnega i facili moralismi e ogni sorta di prevedibile retorica, una salutare rinuncia che poi trova posto anche nel suo film: «Sui ragazzi di oggi non ho un’opinione negativa né li considero dei vitelloni privi di spina dorsale. Io abito sulla scalinata di Viale Glorioso a Roma, la stessa che c’è e si vede in questo film: in quel luogo c’è chi fa rotolare delle bottiglie giù dalla scalinata come passatempo notturno e chi, come i ragazzi del Cinema America, organizza una rassegna su Sergio Leone con gli auricolari e l’audio collegato a una radio, una trovata magnifica. Sono gli uni amici degli altri, sono le stesse persone. Dei giovani in presenza di motivazioni possono ribaltare il mondo, in assenza di esse ovviamente languiscono».
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