Francesco Falaschi su Quanto basta: «L’autismo e quel sistema operativo tutto suo»
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Francesco Falaschi su Quanto basta: «L’autismo e quel sistema operativo tutto suo»

Il regista Francesco Falaschi ci ha raccontato il lungo lavoro di documentazione, studio e incontri che lui e l’attore Luigi Fedele hanno condotto per costruire con rispetto e realismo il mondo di un ragazzo affetto da sindrome di Aperger in Quanto basta

Francesco Falaschi su Quanto basta: «L’autismo e quel sistema operativo tutto suo»

Il regista Francesco Falaschi ci ha raccontato il lungo lavoro di documentazione, studio e incontri che lui e l’attore Luigi Fedele hanno condotto per costruire con rispetto e realismo il mondo di un ragazzo affetto da sindrome di Aperger in Quanto basta

Vinicio Marchioni e Luigi Fedele in Quanto basta

In occasione dell’uscita nei cinema di Quanto basta il 5 aprile abbiamo intervistato il regista Francesco Falaschi.

Se Quanto basta è innanzitutto una commedia d’incontri, un racconto sulle amicizie improbabili, un buddy movie nostrano che si nutre a piene mani del follie dei talent culinari e degli chef-star, il film affronta anche una tematica molto seria e delicata: l’autismo.

Il protagonista del film (Luigi Fedele) è infatti un ragazzo affetto da sindrome di Asperer che, proprio grazie alla cucina e all’incontro con un cuoco scapestrato (Vinicio Marchioni), riuscirà a trovare un modo tutto suo per stare al mondo.

 

FILMARE L’AUTISMO

Fotografare l’autismo con realismo e rispetto inserendolo in un contesto leggero come quello della commedia era ovviamente un’impresa non da poco. Nel loro Quanto basta, il regista Francesco Falaschi e l’attore Luigi Fedele sono riusciti a costruire un ritratto credibile e per non nulla pietoso della neurodiversità – che non è inferiorità, ci tengono a sottolineare gli autori – di questo giovane.

«Cadere nel patetico e nella macchietta era un rischio altissimo, così come nello scientificamente scorretto. Ecco perché ho voluto fare un lungo approfondimento sull’argomento» ci ha spiegato Falschi. «Dopo aver letto tantissimo e aver consultato più di uno specialista e psichiatra che avevano esperienze dirette, a volte familiare, con questo disturbo, ho avuto la fortuna di incontrare e frequentare diversi ragazzi e realtà come il ASF Festival, l’Associazione Not equal, l’Associazione Astarte Viterbo e il Gruppo Asperger Lazio. Molti di questi giovani fanno anche cinema e teatro: per loro il cui problema principale è l’empatia, recitare diventa la massima difficoltà ma anche la massima sfida ed opportunità. Alcuni hanno avuto anche delle piccole parti nel nostro film».

E che effetto gli ha fatto rivedersi? «In realtà, al momento, non hanno ancora visto il film: loro sono dei veri cinefili e i film se li vogliono gustare sul grande schermo, al cinema! Probabilmente vedremo insieme Quanto basta il 2 aprile durante la rassegna cinemAutismo di Torino. Sono ragazzi molto attenti che hanno la caratteristica di dire sempre quello che pensano, e questo li rende dei critici feroci. Pensa che avevo fatto vedergli un mio vecchio film su una donna bipolare, Emma sono io, e uno di loro mi ha detto: “sì, mi è piaciuto, attenzione però che tutti finali lieti devono essere meritati”. Non male come giudizio, no? Di Quanto basta hanno letto solo la sceneggiatura e, almeno sulla carta, li ho convinti».

 

 

NON INFERIORITA’ MA DIVERSITA’

Un concetto sul quale il film punto molto è il fatto che la sindrome di Asperger non sia una condizione di inferiorità quanto di diversità.

Non solo, perché lungo la storia il rapporto tra Guido e Arturo (il cuoco col volto di Vinicio Marchioni che gli fa da tutor al concorso Toscana Young Chef) diventa sempre più sfaccettato, con Guido che mette Arturo con le spalle al muro obbligandolo a guardarsi allo specchio e a decidere cosa vuole fare della propria vita. Tanto che alla fine non si capisce più chi stia accompagnando chi…

«Una battuta che non è stata inserita nel montaggio finale ma che mi piace molto è quella in cui Arturo descrive la malattia di Guido dicendo che “lui ha un sistema operativo un po’ diverso”».

«Arturo, dal canto suo, tratta Guido senza filtri, senza pietismo e in modo istintivo, alla pari, talvolta sbagliando ma di fronte alla “neurodiversità” del ragazzo tende a poco a poco a mutare il proprio comportamento e a ridefinirsi come persona».

«Sento, quindi, una continuità con altri miei lavori, soprattutto Emma sono io, in cui la diversità, vera o apparente, (in quel caso uno squilibrio mentale, la sindrome bipolare), diveniva anche una risorsa e rovesciava lo schema di rapporti tra chi aiuta e chi viene aiutato».


 

L’IDEA INIZIALE

Da dove è arrivata l’idea iniziale del film? «È una storia che sento molto mia e infatti sono autore del soggetto e della sceneggiatura oltre che regista. Il primissimo embrione della storia è stato concepito un po’ di anni quando sono usciti primi libri che parlavano del backstage della cucina come Kitchen Confidential di Anthony Bourdain».

Poi, col passare degli anni, la cucina ha invaso ogni ambito… «Esatto. Ormai i giovani sognano di diventare degli chef più che dei calciatori».

Quindi la tematica dell’autismo è arrivata dopo la cucina? «Sì, anche se il tema dell’incontro con persone che sono molto diverse da noi è imprescindibile dal mio cinema sin dagli esordi: in Emma sono io, ad esempio, la protagonista aveva la sindrome bipolare».

 

LA SCELTA DI LUIGI FEDELE

Se Quanto basta riesce a fotografare l’autismo con credibilità e delicatezza senza mai cadere nel patetico il merito va anche all’interpretazione di Luigi Fedele.

«Abbiamo scelto Luigi dopo diversi provini. Per selezionare il nostro protagonista abbiamo visti molti attori sia professionisti sia non professionisti, ma Luigi è stato straordinario e ci ha convinti».

«Sinceramente, prima di incontrarlo, e basandomi solo sugli altri film che aveva fatto, non pensavo che sarebbe stato lui ad ottenere la parte; dopo il primo provino è però diventato subito uno dei favoriti».

Rispetto al personaggio di Piuma che lo ha reso famoso, quello di Guido in Quanto basta è completamente diverso. Ma Luigi è riuscito a trasformarsi alla perfezione. «Luigi è davvero un grande attore perché se lo vedi nella vita, o nel film X e nel film Y, appare sempre completamente diverso».

«Molti attori italiani soprattutto giovani hanno un loro carattere e spesso i personaggi che fanno li rispecchiano: lui no. Lui lavora davvero in maniera seria. Non a caso si è pure iscritto all’Accademia Silvio D’Amico per perfezionare la sua tecnica».


 

L’ALCHIMIA CON VINICIO MARCHIONI

L’altro protagonista è interpretato da Vinicio Marchioni, e l’alchimia con Luigi Fedele è perfetta. Curiosità: i due attori si erano incontrati sul set di Cavalli (2011) dove Luigi Fedele interpretava il personaggio di Vinicio Marchioni da piccolo.

Come è stato costruito il rapporto tra i due protagonisti? «Il legame tra Guido e Arturo era già molto definito e consolidato in sceneggiatura. Poi, però, abbiamo fatto molte prove e, in quel contesto, tra Vinicio e Luigi è venuto fuori un bel rapporto che è esploso poi, con grande professionalità, sul set. Come si dice in gergo, hanno azzeccato proprio l’interplay sin da subito».

«Mentre giravamo abbiamo avuto il problema di un caldo torrido ma loro non hanno mai accusato stanchezza. Sono due grandissimi attori, bravi da morire. Sono andati al di là delle aspettative».

«Per il ruolo di Arturo ho avuto in mente Vinicio Marchioni sin dall’inizio, ho pensato a lui, era proprio quello giusto. Vicino, poi, ha un fratello cuoco, conosce bene l’ambiente della ristorazione e ha una certa sensibilità sul tema del cibo».

 

IL MONDO HA PIU’ BISOGNO UN PERFETTO SPAGHETTO AL POMODORO CHE DI UN BRANZINO AL CIOCCOLATO

Oltre all’autismo, oltre a Guido, oltre ad Arturo, l’altro grande protagonista di Quanto basta è il cibo. C’è uno sguardo da un lato d’amore verso il cibo visto come momento di condivisione, creatività e confronto; dall’altro con uno sguardo ironico che prende in giro gli chef-star-televisivi.

«L’invasione degli chef in Tv è un po’ il segno dei nostri tempi, ma non voglio mettermi a criticare troppo perché altrimenti sfocerei nel moralismo. L’ aspetto negativo di questa spettacolarizzazione della cucina è l’allontanarsi sempre più dal cibo come prodotto dell’agricoltura, come prodotto genuino, per arrivare a inventarsi delle ricette ruffiane».

«Il paradosso, poi, è: tutta questa cucina che si vede in Tv aiuta davvero a mangiare meglio e a conoscere meglio il territorio? Aiuta davvero a capire chi c’è dietro il cibo, chi alleva e chi coltiva? La nostra polemica nel film non è contro gli chef, ma contro le cose finte e troppo costruite».

«Io, tra l’altro. guardo Masterchef e tutti questi programmi di cucina hanno fatto sì che in casa mia sia arrivata una ventata, una voglia di cucinare meglio: mia moglie e mia figlie sono appassionatissime».

 

LA DOLCEZZA DEI BUONI SENTIMENTI

Nelle note di regia, Falaschi ha scritto che il suo film non ha paura delle emozioni e dei buoni sentimenti. Ma quanto basta di questi buoni sentimenti per non cucinare un film troppo dolciastro?

«Be’, come anche viene detto dal personaggio di Marchioni, è proprio nel dosare quel “quanto basta” che si vede la differenza tra chi è bravo e chi no. Per quel che riguarda il mio film, ci sarà sicuramente qualcuno che dirà che è troppo positivo. Io non credo».

«Sinceramente in base alla mia esperienza e in base a tutte le ricerche che abbiamo fatto mi sembra una storia realistica. Una storia che ha trovato le giuste dosi tra ironia, commozione ed amarezza. E poi, a volte, è più facile essere cinici e cattivi».

 

Per saperne di più sul film, leggi anche l’intervista a Luigi Fedele.

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