Tre anni dopo Sette anime, Gabriele Muccino torna sul grande schermo con Quello che so sull’amore, il suo terzo film realizzato in America e il primo senza Will Smith. Ma il problema di Quello che so sull’amore non sta nel protagonista, Gerard Butler, ma nell’accoglienza freddina di pubblico e critica che il film ha riscosso in America e che – ancor prima che arrivi da noi, il 10 gennaio in 450 copie – gli hanno appiccicato addosso l’etichetta di mezzo flop. Una questione che incontrando la stampa oggi a Roma, il regista italiano ha tenuto a chiarire, ribattendo colpo su colpo. Ecco dunque la sua versione dei fatti. «L’errore è stato di marketing fin dall’inizio – ha detto Muccino –, il distributore americano ha venduto Quello che so sull’amore come fosse una commedia romantica, un sub genere che io non faccio e non vado neanche a vedere al cinema. Per intenderci, da Harry ti presento Sally a Notting Hill. Io faccio un tipo di cinema più riflessivo e ho girato una commedia drammatica con momenti commoventi e tematiche importanti che ci accomunano tutti. I miei di norma sono film ibridi, difficilmente classificabili, mentre in America devi vendere il genere, poi arriva il cast. Il regista è assolutamente secondario. Ricordo che anche per Sette Anime ci fu un problema di percezione: sul New York Times scrissero che era così brutto che i giapponesi potevano farne un horror».
Insomma a Hollywood è più importante il marketing che la sceneggiatura?
Sì, conta più del prodotto. Me lo disse Will Smith fin dal primo incontro, e lui ne sa molto: è un attore potente, ha recitato in molti film che possiamo onestamente definire non capolavori. È un bravissimo venditore. Se ci fosse stato lui nel team, mi avrebbe salvaguardato. È stato il suo produttore storico a spiegarmi le ragioni per cui Quello che so sull’amore non ha avuto il successo che meritava negli Usa: i trailer erano sbagliati, il titolo originale brutto, (Playing the Keeps ovvero Giocare in ritirata, NdR) una locandina brutta, e un weekend di uscita, il 7 dicembre sbagliato perché storicamente dedicato allo shopping natalizio, tanto che siamo usciti solo noi. Certo abbiamo fatto 6 milioni di dollari ma poi sono usciti gli altri titoli delle feste e non c’è stato modo di far scattare il passaparola. Il film è arrivato a 13 milioni ma è costato 20.
Forse il film aveva anche delle sue imperfezioni?
Più che altro non è stato tutelato. Negli Usa non fanno uscire niente che non sia stato fatto prima passare per i test screening. Questi erano andati male all’inizio, quando ho fatto proiettare la versione che volevano alcuni produttori e il distributore, più da commedia romantica. Il gradimento era al di sotto dell’80% dell’audience, il che significava uscire direttamente in home video. I secondi test sono andati molto meglio ed erano quelli con la mia versione. Mi spiace solo di non aver puntato i piedi prima per proiettare da subito il film come lo volevo io. E poi ci sono i Cinemascore, le interviste al pubblico mediante schede all’uscita in sala: da quelle il film ha ottenuto un voto B+, più o meno un 8 che non mi sembra un brutto risultato, no?
Quindi sono stati necessari diversi compromessi per uscire nei cinema Usa?
Sì, purtroppo. Ho dovuto tagliare una scena lunga e importante con Uma Thurman che si sfogava per la sua vita con Gerard Butler e accettare un happy end classico rispetto ad un finale più aperto che il pubblico dimostrava di non comprendere del tutto. È stata necessaria una settimana di riprese in più, dopo il montaggio, per girare dei piccoli momenti che dessero omogeneità al film.
A proposito dell’accoglienza americana del film, in un’intervista a Repubblica hai detto che Hollywood è spietata. Resterai o pensi di tornare in Italia?
No, quella è una cosa detta informalmente, sempre che l’abbia detta perché non mi ricordo. Gli Stati Uniti mi hanno dato tanto: i miei due maggior successi – La ricerca della felicità e Sette Anime – li ho fatti nella quintessenza di Hollywood, sono rimasto amico dei produttori e di molti attori. Il mio rapporto con Hollywood è idilliaco, perciò voglio restare. Sono abbastanza matto da continuare a sperare di rubare un copione a Spielberg, Zemeckis e Howard! E poi non è da me uscire dall’arena mezzo sconfitto. Il traguardo più grosso raggiunto lì è che neanche nelle stroncature maggiori nessuno ha mai detto ‘è un regista italiano’, perché sono riuscito a mimetizzarmi in una cultura che non è la mia, e vi assicuro che è molto diversa. Qui siamo sanguigni, lì vivono sottovoce e senza pathos. Resto e provo a fare quello che grandi come Sergio Leone e Bernardo Bertolucci hanno fatto prima di me: girare negli Usa con capitali europei o indipendenti. Quello che so sull’amore è coprodotto da tante realtà, e l’Italia con Medusa è una delle nazioni che hanno investito di più.
Nel film si parla anche molto di calcio. Ti interessa? Lo segui?
È solo l’ambientazione, quello che c’è sullo sfondo. All’inizio era un film sul baseball, ma in Europa non lo seguiamo abbastanza, e abbiamo cambiato. Personalmente non m’interessa, quello che so me lo dice mio figlio. Per me questo film parla di sentimenti, ma soprattutto del processo di maturazione: a 40 anni non puoi più far finta di niente, devi decidere se continuare a vivere come un ragazzo o diventare un uomo. Parlo della mezza età e mi sento chiamato in causa: anche io sto provando a diventare maturo.
La maturazione è un tema che ti è sempre stato a cuore. Lo userai anche per il prossimo progetto?
Non posso dire nulla su quello, eccetto che sto scrivendo. È una storia in inglese con una giovane protagonista femminile, ma vorrei che ci fosse anche il mio amico Woody Harrelson. Vedremo.
Il pubblico italiano avrà saputo dell’insuccesso americano? Sei preoccupato per l’accoglienza che avrai qui?
No, non penso. Spero che la gente non si sia informata molto (scherza, NdR). Mi auguro che il pubblico che mi ha permesso di avere tanto successo in passato continui a seguirmi. Sono sicuro che usciranno di sala convinti di quello che hanno appena visto. Il resto è nelle mani del marketing. Come al solito.
Foto: Getty Images
© RIPRODUZIONE RISERVATA