Un cast internazionale, tra cui spiccano John Malkovich e Peter Stormare e due giovani esordienti – Arnas Fedaravicius e Vilius Tumalavicius – nei ruoli principali dei figli di una comunità di criminali con un’etica profonda e stretta dal gelo siberiano. Gabriele Salvatores porta sul grande schermo il libro di Nicolai Lilin, Educazione siberiana, avventurandosi nei modi del fare cinema “in grande”. Ospite al Noir Film Festival di Courmayeur, il regista di Mediterraneo racconta come è passato dalla carta alla celluloide. (L’intervista è pubblicata anche su Best Movie di febbraio)
Quato ti ha colpito Educazione siberiana?
«Mi ha fatto ripensare a un film molto lontano e diverso come Tourné dove i protagonisti sono, come Kolima e Gagarin, due amici diversissimi che si devono confrontare. È un libro che parla di clan mafiosi, ma anche di tempi che cambiano. John Malkovich ha la mia stessa età per cui mi ha fatto riflettere ancora di più sul passaggio fisico e personale che vivi mentre il mondo ti muta intorno, è una cosa che nel romanzo di Lilin si sente moltissimo».
Dal libro al film, cosa ci puoi dire?
«Nel libro di Educazione siberiana il personaggio di Gagarin compare poco, mentre il film si concentra sulla relazione tra lui e Kolima. La storia è quella di due ragazzini che crescono in una comunità criminale siberiana. A un certo punto il personaggio di Gagarin viene arrestato e trascorre sette anni in riformatorio e quando si rivede con l’amico Kolima i due sono diventati persone diverse. Ho cercato di mostrarlo anche puntando sulle iniziali difficoltà tra due attori così diversi come Arnas Fedaravicius che interpreta Kolima e Vilius Tumalavicius che interpreta Gagarin di andare d’accordo. Qualche loro attrito iniziale era quello in cui speravo».
È andata come volevi?
«Tu puoi scrivere un film che nella tua mente funziona bene, quando te lo immagini hai un controllo perfetto su tutto, ma il cinema è meraviglioso proprio perché è come la vita, la puoi controllare fino a un certo punto e poi devi lasciarti andare. Quello in cui speravo è che scattasse qualcosa tra i due attori – la storia parla di due amici che si allontanano e che hanno preso due strade diverse. Quando Kolima e Gagarin si ritrovano è proprio questo che si deve vedere, i quartieri differenti e il loro modo di prendere la vita altrettanto diverso».
I tatuaggi hanno una parte importantissima nel film e nella cultura di questa comunità…
«Noi ci facciamo tatuare perché ci piace un soggetto, che può essere un delfino, un cuoricino, nel mio caso il cobra Kundalini della filosofia yoga e buddista, ma per l’autore del romanzo Nicolai Lilin e i personaggi di Educazione siberiana i tatuaggi raccontano la loro storia. Vanno dal tatuatore, gli raccontano la loro vita, e poi è lui a decidere cosa tatuarti secondo le regole di una simbologia precisa».
Educazione siberiana è stata una sfida da girare?
«Ho imparato molto girando Educazione siberiana: il modello di cinema che me ne ha fatto innamorare da bambino è quello delle grandi storie: non di quelle minimaliste, ma quelle che si svolgono lungo svariati anni e contengono tutto: amore, morte, odio, amicizia. E poi tecnicamente è un’altra cosa, mi sono trovato a girare con mezzi non direi faraonici ma senz’altro su un’altra scala rispetto alla dimensione del cinema che ero abituato a fare. Ci sono fiumi che straripano, risse tra bande, la guerra in Cecenia, avanti e indietro nel tempo tra l’epoca anteriore alla caduta del blocco sovietico e successiva. Ho imparato cose nuove anche a livello tecnico, l’importanza delle persone che ti lavorano intorno, come lo stunt specializzato nella guida e negli inseguimenti in macchina, che in Italia è uno stunt qualsiasi ma che sul set di Educazione siberiana era uno specialista. Mi ha fatto capire che in auto con gente come lui non ci voglio più salire!»
Foto: Claudio Iannone © Cattleya 2011
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