Al secondo giorno di manifestazione, Lucca Comics & Games ha accolto il grande fumettista Garth Ennis, autore di alcune tra le opere più violente, anticonformiste e viscerali del panorama mondiale. I suoi lavori non hanno bisogno di presentazioni: da successi internazionali come The Boys e Preacher, già adattati – con ampio seguito di pubblico – per il piccolo schermo, fino alle storie su altre proprietà come The Punisher e Batman.
È grazie al suo stile inconfondibile, divenuto sempre più popolare proprio grazie alla serialità televisiva – in particolare con l’ingresso di Billy Butcher e gli altri nel pantheon delle produzioni Prime Video – che Ennis è ad oggi considerato uno degli autori di fumetti più apprezzati e riconoscibili: i suoi racconti si servono di un linguaggio volgare e spinto, di una bella dose di sangue, di personaggi deliranti e di un umorismo nero – quasi come il costume di Black Noir – per dipingere un ritratto dissacrante e critico del mondo dei supereroi e, più in generale, delle idiosincrasie della società in cui siamo immersi.
Ospite del panel tenutosi a Lucca, il fumettista britannico ha parlato innanzitutto di ciò che la violenza riesce a veicolare nel suo lavoro. Ma soprattutto, delle tipologie di rappresentazione che un autore può farne:
«L’approccio dipende tutto dal tipo di brutalità che si cerca di raccontare. Esiste quella scanzonata, surreale e sopra le righe, ma poi c’è anche quella drammaticamente reale, che deve diventare un pugno allo stomaco del lettore, perché vuoi che si fermi lì e che sia colpito nel profondo da questa violenza, da questi fatti terribili, drammatici e cupi».
Per spiegare meglio questi due modi distinti di portare la violenza in un racconto, Garth Ennis cita il cinema di Peter Jackson, prendendo come esempio due delle sue opere meno note, ma assolutamente rappresentative in tal senso: da un lato Bad Taste, un b-movie grottesco e dalla brutalità quasi esilarante; dall’altro Creature del cielo, dramma biografico in cui la violenza viene espressa in modo crudo e realistico.
«Vi faccio un esempio molto concreto. Avrete tutti familiarità con il film Bad Taste di Peter Jackson. Ecco, è uno di questi film assurdi, dove c’è violenza continua, sangue, spappolamenti di cervelli, budella ovunque… cioè è impossibile prenderlo sul serio. Poi però c’è un altro film, sempre di Peter Jackson, ovvero Creature dal cielo, dove c’è la scena di questa donna che viene picchiata. Questa sequenza è assolutamente drammatica, è veramente qualcosa di orribile, terrificante. Una brutalità resa peggiore dal fatto che una delle assalitrici è la figlia di questa donna. Ed è davvero un qualcosa di dirompente, che ti toglie il fiato. E in questi due casi si tratta dello stesso narratore, della stessa persona che ci porta la violenza di un tipo e dell’altro. Sono entrambe totalmente giustificate all’interno di quella specifica narrazione. Scritte dalla stessa persona. Quindi ecco, non riesco a pensare davvero a un esempio migliore».
Oltre ad aver creato la sua schiera di personaggi originali, che insieme ai già citati protagonisti di The Boys e Preacher comprende anche quelli di Hitman ed Hellblazer, Ennis è stato anche autore di storie per gli universi di altri fumettisti, su tutti quello di The Punisher. Quando gli viene chiesto di parlare di come il suo processo creativo sia cambiato – se è cambiato – nel momento in cui si è trovato a scrivere di eroi con un background già costruito da altri, il fumettista spiega:
«Quello a cui sono interessato non è tanto il personaggio in sé. Preferisco quelli che non hanno un background molto solido, perché mi piace lavorare sul potenziale che alcuni di loro possono esprimere, e qui parlo di The Punisher. Io avevo visto questo potenziale, così ho preso la sua storia e l’ho tolto dall’Universo Marvel. L’ho tolto da un universo supereroistico in cui non c’entrava veramente niente e ho scritto questa storia, che è probabilmente una delle più apprezzate. Questo è un ottimo esempio di come usare un personaggio per il suo potenziale e non per il personaggio in sé».
Proprio come i suoi fumetti, anche Garth Ennis è assolutamente senza filtri. L’autore ha infatti concluso la chiacchierata lanciando una critica – affatto velata – verso le grandi case editrici, che spesso arrivano a snaturare i personaggi dei loro scrittori pur di continuare a raccontare storie che portino, naturalmente, soldi.
«Non bisogna farsi illusioni. Bisogna rimanere con i piedi per terra e sapere che chi verrà dopo di noi potrà prendere il nostro personaggio facendo a pezzi il nostro lavoro, cambiando di nuovo tutte le carte in tavola. D’altra parte bisogna ricordare che questi personaggi sono delle proprietà che appartengono a delle grandi società, che possono usarle come meglio ritengono per fare soldi. Perché quello è l’obiettivo, alla fine. Non c’è certo un altro obiettivo nascosto. Per cui li useranno e cambieranno ancora e ancora, perché sono una loro proprietà. Uno degli esempi migliori a riguardo è lo Swamp Thing di Alan Moore, di proprietà DC. È una storia fantastica, finita, completa e con un finale epico che rendeva impossibile – o quantomeno sensata – una continuazione. Ma essendo un franchise di successo, una volta che Moore se ne andò, venne continuata la storia continuò. Business… as usual».
© RIPRODUZIONE RISERVATA