Ha avvolto il nastro di Caro diario Nanni Moretti, ospite della penultima serata del Festival Genova Reloaded, diretto da Giorgio Viaro. Con I diari di Caro diario ha raccontato il negativo di una pellicola girata 30 anni fa e ora in giro nelle sale cinematografiche in versione restaurata. Ha descritto le scelte cruciali, i cambiamenti in corso d’opera, le scene più azzeccate e i tempi delle riprese, i ripensamenti e i recuperi in corsa. A scandire il tempo della narrazione, davanti a una sala da tutto esaurito anche se contingentata nei numeri per la pandemia, lo scorrere dei giorni: quelli che segnano un Diario, appunto.
Nanni Moretti si mette a nudo e racconta se stesso e ciò che ha portato alla nascita di un film che doveva essere un cortometraggio – «Solo io che vado in giro in vespa per la città» – e che invece è diventato il suo film cult, vincitore del premio per la miglior regia al Festival di Cannes nel ’94. Moretti descrive lo stato d’animo che lo ha accompagnato in questo viaggio, il contrasto tra quello che pensava all’inizio e quello he ne sarebbe scaturito, le ansie: «Anche questa volta inizio il film senza essere pronto», appunta alla fine di una sua giornata su quel diario che ora condivide con decine di persone. Ci sono i pensieri ad alta voce, scritti e poi “ritrattati”: «Meglio le ferite vere di quelle del truccatore», legge da una pagina.
«Le ferite vere appaiono quando te le fai, con il trucco non si vede il processo che ti porta alle screpolatura e agli arrossamenti. Discorso da pazzo, chiudo qui e spengo la luce», è la chiusura della riflessione alla fine di un’altra giornata, che strappa una risata al pubblico. In questa genesi del film, ci sono i giudizi severi verso se stesso («Sono un regista molto modesto, scolastico»); la paura del flop («Ogni tanto penso che il film si risolverà in una bolla di sapone, un film sbagliato che nessuno andrà a vedere»); i 43 ciak per l’inquadratura del secondo dermatologo che non si ricordava la battuta; la fatica delle riprese alle isole, ma c’è anche la commozione quando la musica giusta incontra la scena, dopo aver deciso di cambiare in piena corsa il compositore, sostituendo Wim Mertens con Nicola Piovani.
Perché quando la pellicola prende forma, tutto si ribalta: «Le musiche non vanno bene per niente. Incontrerò Nicola Piovani e chiederò a lui le musiche del mio film». Piovani lo incontra in un bar a Roma, accetta e il film avrà la sua colonna sonora, quella che lo commuove quando lo accompagna mentre cammina in spiaggia con i bermuda e i calzini tirati su fino al ginocchio come gli aveva consigliato l’ultimo dermatologo. Il film si muove per capitoli – In Vespa, Le isole, Medici – il suo diario, invece, sviscera e mette in fila gli stati d’animo tutti insieme, a volte ordinatamente a volte un po’ meno, con quelle contraddizioni e dubbi che lo rendono umano.
Alla fine nessun rimpianto, o forse uno: «Sul tumore sono stato troppo generico, invece avrei dovuto raccontare che al centro del torace avevo una roba di 15 cm di diametro». Quella malattia raccontata senza distrazioni con «inquadrature essenziali», come lui voleva, e quel finale che già alle prima proiezione in famiglia e con gli amici aveva commosso. Ribaltando anche i suoi giudizi: nessun flop, ma un grande successo ancora oggi.
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